Entra in vigore oggi col Decreto 1° ottobre 2018 n. 131 l’etichetta “Salva pane“, un pacchetto di nuove norme inerenti l’etichettatura, volte a distinguere il pane fresco da quello ‘conservato o a durabilità prolungata‘. Dopo la pasta, il riso, il latte e la salsa di pomodoro ora arriva anche l’etichetta per il pane fresco che tuttavia non specificherà l’origine delle farine.
Cosa cambia e cosa ci dirà l’etichetta “salva pane”
Con questo pacchetto di norme il pane che ha subito processi di surgelazione e congelamento o che contiene additivi chimici e conservanti non potrà essere più venduto per “fresco” e dovrà obbligatoriamente avere una etichetta con la scritta “conservato” o a “durabilità prolungata“. D’ora in avanti potrà quindi essere denominato “pane fresco” solo quel pane preparato secondo un processo di preparazione continuo (non oltre le 72 ore dall’inizio della lavorazione alla messa in vendita), privo di interruzioni finalizzate al congelamento o surgelazione, ad eccezione del rallentamento del processo di lievitazione ma anche privo di additivi conservanti e di altri trattamenti aventi effetto conservante, specifica Coldiretti.
Nel pacchetto di misure sono previste anche norme per il “pane conservato o a durabilità prolungata“, nel caso venga utilizzato un metodo di conservazione ulteriore rispetto a quelli già sottoposti agli obblighi informativi previsti dalla normativa (ad es. il pane precotto, surgelato o meno). Per questa tipologia di pane al momento della vendita deve essere fornita adeguata informazione al consumatore attraverso un’apposita dicitura da riportare sul cartello in mostra negli specifici comparti in cui viene collocato, distinti rispetto a quelli in cui viene esposto il pane fresco proprio al fine di evitare che questi venga indotto in errore.
Un provvedimento importante che mira anche a tutelare l’incredibile patrimonio gastronomico che ci offre la nostra tradizione popolare a proposito del pane, l’alimento simbolo della vita. La Coppia ferrarese, la pagnotta del Dittaino, il pane casareccio di Genzano, il pane di Altamura, il Pane Toscano e il pane di Matera sono i 6 pani registrati e tutelati a livello comunitario ma sono centinaia le specialità tradizionali censite nelle diverse regioni. Si va dal “Pane cafone” della Campania, così chiamato perché con questo termine erano chiamati i contadini al tempo dei Borboni al “Pan rustegh” della Lombardia, che giustifica il vecchio detto “pane di villano, rustico ma sano“; dal “Pan ner” della Valle D’Aosta ottenuto da un impasto di segale e frumento alla “Lingua di Suocera” piemontese, nel cui nome è sin troppo evidente il riferimento, per la verità un po’ irriverente, alla lunghezza della lingua delle suocere.
Infine, oltre alle indicazioni sul pane, il Ministero fornisce anche una definizione di “panificio”: “l’impresa che dispone di impianti di produzione di pane ed eventualmente altri prodotti da forno e assimilati o affine e svolge l’intero ciclo di produzione dalla lavorazione delle materie prime alla cottura finale“.
“Salva pane”: manca la provenienza delle farine…
Resta il problema della provenienza delle farine, come fa notare Coldiretti: solo una etichettatura trasparente può consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli ed alle imprese di far emergere il valore distintivo dei prodotti agricoli.
Attraversiamo del resto un periodo storico in cui i consumi di pane degli italiani si sono praticamente dimezzati negli ultimi 10 anni, raggiungendo il minimo storico con appena 80 grammi al giorno per persona. Con il taglio dei consumi – sottolinea Coldiretti – si è tuttavia verificata una parallela svolta qualitativa: è cresciuto e cresce sempre più l’interesse per il pane ottenuto da farine biologiche e per quello ottenuto da farine di “grani antichi”, piuttosto che quello “a km0” ovvero realizzato direttamente dai produttori agricoli anche con varietà di grano locali spesso salvate dall’estinzione. Un interesse che si unisce all’attenzione per i prodotti dagli importanti risvolti salutistici ed a alto valore nutrizionale: il pane a lunga lievitazione, quello senza grassi o con poco sale, l’integrale. Proprio per questo è importante continuare sulla linea della trasparenza, arrivando a prevedere in etichetta anche l’origine delle farine e degli altri ingredienti impiegati nel prodotto finito.
[Fonte: comunicato stampa Coldiretti]