In piena Settimana Santa è arrivata in Italia Greta, ed è stata accolta da papi e presidenti come la madonna protettrice del Pianeta. Greta non lo sa, eppure c’è una minaccia peggiore sul nostro futuro che non riguarda l’ambiente, non proviene dall’inquinamento e dal riscaldamento globale: è in pericolo l’umanità prima che il pianeta. Più che le piante, il clima e i mari, è la natura umana che rischia di essere cancellata nel giro di pochi anni dalla tecnoscienza e dai suoi miraggi. E non c’è nessuna Greta, nessuna mobilitazione planetaria e mediatica che denunci lo snaturamento dell’uomo. La tentazione del transumano, il cyborg e la clonazione, i chip sottocutanei e la robotica, l’umanità geneticamente modificata, svelano il desiderio di evadere dalla prigione dei nostri limiti, ripudiando la natura umana, in un viaggio dalla fecondazione artificiale all’esistenza artificiale, per sfuggire alla condizione umana, all’invecchiamento e alla morte.
Madre Natura diventa maternità surrogata e i suoi figli sono automi, macchine senza passato, senza interiorità, senz’anima né trascendenza. L’uomo viene sostituito dal cyberuomo, come scrive Enrica Perrucchietti nel suo libro documentato e inquietante sul tramonto dell’umanità e l’avvento dell’intelligenza artificiale (CyberUomo, Arianna editrice, pp.224, 16.50 euro). È la tecnoutopia di liberarsi dalla natura umana o modificarla a tal punto da renderla irriconoscibile, separata dalla storia e da ogni senso morale, civile e religioso. E’ la favola di Pinocchio capovolta.
Diciannove anni prima del Novecento nacque dalla fantasia di Collodi il burattino di legno che dopo una serie di disavventure iniziatiche diventa finalmente bambino e umano. Diciannove anni dopo il Novecento, rischiamo di percorrere a rovescio la favola di Pinocchio, dall’umanità alla macchina, dalla natura al tecno-androide. In questo viaggio capovolto la creatura perde umanità e regredisce al rango di automa proteiforme, senza destino, rigenerato dalla tecnica. Non più cuori intelligenti ma intelligenze artificiali. Non è questo il viaggio inverso di Pinocchio, il suo cammino a ritroso da umano a robot, un androide che si muove inserendo il pin? Il contrario di Pinocchio, Occhio al Pin.
Colpisce anche la scelta semantica e in fondo ideologica dell’ecologismo: si parla sempre di ambiente piuttosto che di natura. Perché la natura evoca il creato, l’ordine naturale, il diritto naturale, la famiglia naturale, la procreazione naturale, il naturale invecchiamento e perfino il soprannaturale. Ambiente invece è asettico, eco-compatibile, si definisce ambiente anche un luogo chiuso, artificiale. La carota ogm indigna i verdi, ma guai a criticare l’uomo ogm. L’uomo ha diritto di cambiare natura, la carota, invece, non va modificata…
Dell’avventura di Pinocchio, oltre il naso etico che si allunga con le bugie, colpiva il passaggio finale da burattino a umano, tramite miracolo d’amore e buona condotta. Era veramente un passaggio, transustanziazione, cioè una Pasqua. Ci colpiva da bambino il sacrificio di Mastro Geppetto, che si vende il cappotto in pieno inverno, fingendo d’avere caldo, per comprare a Pinocchio l’abecedario, poi svenduto dall’ingrato burattino per divertirsi. Impressionava la sua trasformazione in asino, in seguito al suo comportamento e alle sue cattive compagnie; il burattino può elevarsi al rango di uomo ma degradarsi al rango di bestia. Inteneriva Mastro Geppetto, la sua solitudine che l’aveva spinto a comprarsi da Mastro Ciliegia il pezzo di legno e intagliarsi un burattino per farsi compagnia. Il suo statuto triste di single, privo di moglie e di famiglia, la sua aspirazione alla paternità, la sua povertà e i suoi patimenti per l’inafferrabile figlioccio. Ci dispiaceva che la fata turchina fosse troppo giovane, carina ed evanescente per prendersi cura di un vecchio e malandato falegname come Mastro Geppetto; il nostro sogno puerile era trovare una madre a Pinocchio e una moglie al suo tenero padre, che ricordava troppo il suo collega falegname san Giuseppe, padre putativo di ben altro Figlio (come la fata turchina evocava la Madonna). Il CyberPinocchio si smarca da ogni paternità e maternità, funziona per suo conto, risponde ai suoi meccanismi.
E poi il ventre della balena, mansarda negli abissi marini, illuminata da una lampada a fuoco che non le dava bruciore allo stomaco, era l’allegoria dell’Oltretomba in cui visitava il padre. Il viaggio di Pinocchio era pasquale e si concludeva con la Resurrezione.
Il suo racconto era un viaggio iniziatico verso l’umanità. Pinocchio accendeva la fantasia e rendeva migliori: la sua trasformazione estetica combaciava con la mutazione etica e umana. Dopo il Pinocchio infantile, da grande ho letto il Pinocchio del Cardinale Biffi, consonante con questa lettura religiosa e allegorica; e il Pinocchio acuto e smagato di Giorgio Manganelli, gustando pure il Pinocchio teatrale di Carmelo Bene ma non disprezzando nemmeno quello di Benigni e Cerami, infine ritrovando il Pinocchio classico, illustrato da Sigfrido Bartolini.
Pinocchio racconta il viaggio verso la salvezza e verso la natura umana. È un viaggio dal padre al Padre. Il Pinocchio che si affaccia nella nostra epoca è invece una favola capovolta, che nasce da una maternità surrogata, cresce nell’insofferenza verso la condizione umana e i suoi limiti, annuncia la perdita della natura e l’avvento dell’androide bionico. Da uomo a burattino di silice. C’è qualcuno nel mondo che voglia salvare il principale abitatore del pianeta, non c’è nessuna Greta che si preoccupi della natura umana in pericolo?
MV, Panorama n.14 2019