Intervista di Formiche.net a Marcello Veneziani, a margine dell’evento “L’Italia dei conservatori”, organizzato da Nazione Futura.
L’Italia ha bisogno di conservazione ma, ancora di più, ha bisogno di chi sappia conservare. È questo il messaggio che è emerso da “L’Italia dei conservatori” evento voluto e organizzato da Nazione Futura, network di neo conservatori che ha in Francesco Giubilei, giovane editore e intellettuale, il suo frontman e voce di una nuova via al conservatorismo italiano.
Molti gli intellettuali italiani e stranieri di area conservatrice intervenuti alla kermesse dal prof. Corrado Ocone, a Marcello De Angelis, Wolfgang Fenske, direttore della Biblioteca del conservatorismo di Berlino, Marcello Veneziani e Daniele Capezzone.
A margine del convegno, Formiche.net ha discusso con il giornalista e saggista Marcello Veneziani di cosa significhi essere conservatori oggi e di quali siano le prospettive di sviluppo dell’attuale quadro politico italiano.
A cosa servono i conservatori oggi?
Servono a conservare, cioè a salvaguardare la memoria, il patrimonio artistico, ambientale e letterario di un Paese. I conservatori servono a porre l’attenzione sulla salvaguardia di ciò che io chiamo la gioia durevole delle cose: i principi che restano, la continuità tra le generazioni, i valori che non tramontano, la continuità tra passato, presente e futuro. I conservatori hanno una doppia funzionalità, sia pratica che teorica.
Secondo lei quali sono le politiche di cui dovrebbe occuparsi la cultura di destra per affermarsi come maggioritaria?
Dovrebbe partire dalla realtà, dai temi che attengono la realtà. La tutela dei confini, la tutela di un modo di vivere naturale, la difesa della famiglia, la promozione di ciò che appartiene alla nostra civiltà e alla nostra tradizione. Sono elementi primari che non dovrebbero essere letti in chiave ideologica perché fanno parte della vita che viviamo ogni giorno e della cui assenza soffriamo ogni giorno. Io non la chiamerei più cultura di destra, che era una nobile ma minoritaria schiera di intellettuali e pensatori che non avevano velleità di diventare maggioranza nel Paese. Parlerei più di un idem sentire che va diffuso e trasformato in un idem pensare. Non basta solo sentire di essere da quella parte ma bisogna cercare di ragionare e pensare in quel modo altrimenti si rimane solo sulla base dell’istinto, delle emozioni e non si va lontano.
Arriviamo da una settimana molto particolare per il nostro Paese e per la sua capacità di conservare. Da un lato il caso Ancelor Mittal e il disimpegno dall’Ilva, dall’altro l’inondazione di Venezia. Cosa ci insegna questa settimana rispetto alla capacità dell’Italia di conservare?
Ci insegna che noi abbiamo ritenuto positivo per l’Italia muoverci tra modelli diversi e non abbiamo saputo adottare strategie di intelligente conservazione delle acciaierie, che fossero compatibili con l’ambiente, non abbiamo intrapreso nulla che potesse dare vita alla salvaguardia di Venezia. Oggi ho citato su La Verità un articolo di Indro Montanelli di quando io ero bambino. Montanelli chiedeva di intervenire contro il pericolo dell’acqua alta a Venezia. Insomma l’assenza di cultura conservatrice e di pratica conservatrice ci ha ridotti in queste condizioni. Anche le tragedie dei nostri giorni hanno questa derivazione.
Spostandoci a parlare di politica in senso stretto la piazza di Bologna ha ridato respiro a quell’universo di sinistra che vede il Pd alleato, dopo anni di insulti reciproci, al M5S. Secondo lei quella piazza ha dietro di sé una base reale che può tradursi in un risultato elettorale oppure no?
Io credo che ci sia una realtà, non credo che sia sradicato e scomparso il mondo della sinistra. Il problema è che una piazza di 10.000 persone non è il sintomo di una cultura e di una prevalenza maggioritaria in una regione, è soltanto una parte motivata della sinistra che scende in piazza. Aggiungo anche che il confronto che è stato fatto con la manifestazione di Salvini è scorretto sia perché Salvini ha usato un ambiente chiuso rispetto a una piazza sia perché l’intimidazione dei centri sociali nei confronti di quell’area di centro destra che sarebbe andata ad ascoltare Salvini è stata tale che la gente, per non trovarsi invischiata in scontri, contestazioni, lanci di oggetti, ha preferito evitare. In ogni caso le piazze, quando sono civili e composte, ben vengano, anche quelle di sinistra. Che la piazza di sinistra esista mi pare onesto riconoscerlo, che questa sia prevalente mi sembra arbitrario, è una congettura.
Guardiamo dall’altro lato dello schieramento. Fratelli d’Italia sta salendo molto nei sondaggi. Secondo lei in Italia c’è il desiderio di un partito di destra?
È un desiderio non solo italiano ma europeo e internazionale. In secondo luogo ha giocato a favore di Fratelli d’Italia un profilo di maggiore coerenza rispetto ai rapporti con le altre forze politiche che ha, in un primo tempo, penalizzato la Lega di Matteo Salvini tra agosto e settembre. Giorgia Meloni può dire di aver mantenuto sempre una linea coerente. E poi credo che esista un’area di destra forte nel nostro Paese che a volte di appoggia a Fratelli d’Italia, altre volte si esprime in altri modi, ma che comunque esiste, non è un fatto puramente contingente o legato alla indubbia capacità televisiva della Meloni o alla vivacità mediatica che la caratterizza.
Senta, brutalmente, lei si fida di Salvini?
Io mi sono abituato a leggere la politica italiana attraverso i paragoni. Se prendo in assoluto i politici italiani, compreso Salvini, non mi fido. Se devo paragonare Salvini o la Meloni a chi si oppone a loro o chi è ora al Governo allora dico che devo fidarmi di Salvini. Devo fidarmi, non dico che mi fido.