Sanremo 2025: la lezione di Cristicchi
Finita la sbronza mediatica post festival, osannati i vincitori, commentati outfit e ospiti, è arrivato adesso tempo di bilanci della kermesse più lunga e chiacchierata della RAI. E un dato balza più di ogni altro. Il risultato.
Uno share che ha premiato, senza se e senza ma Sanremo 2025, più di qualsiasi anno precedente
Dopo l’uscita di Amadeus veniva ritenuto impossibile anche solo eguagliare il traguardo 2024. E invece 13,4 milioni di italiani sono stati incollati durante i diversi giorni dell’evento davanti alla TV. Un record. Ma soprattutto quello che dai telespettatori è stato notato, è stata l’estrema serenità, sobrietà ed eleganza della conduzione.
Carlo Conti non ha ecceduto nei discorsi né nei monologhi. Non ha sbandierato la moglie come co-conduttrice né il figlio, rimasto, come suo dovere, a casa fra scuola e compiti
Ma soprattutto non c’è stata nessuna traccia dei maxi-sermoni propagandistici degli anni scorsi. Nessun discorso ideologico , né “pipponi” pro-qualsiasi cosa passi in questa scombinata società. Nessuno si è voluto gettare dalla piccionaia da copione. Nessuno ha gridato a favore di gender e transgender.
E il palco all’esterno è servito solo per i cantanti ospiti non per le proteste più o meno pilotate
Tutto è stato all’insegna del politically correct. O meglio del “no politic, thanks”. Sanremo è Sanremo. È musica, è passione, è serenità, è famiglia. Pure Benigni, da uomo intelligente quale è , lo ha capito e si è adeguato.
Pure Geppi Gucciari ha moderato la lingua, prendendosela con i cantanti e lasciando fuori i politici
E gli italiani hanno apprezzato. Erano stufi dei monologhi pro-aborto e assurdi caroselli arcobaleni. Si premia la canzone italiana, quella vera soprattutto se cantata da under 30.
E via ogni riferimento “causale” ai marchi “causalmente” indossati. Via i catechismi a favore di comitati pro suicidio o a sparuti gruppi pseudoecologisti. Siamo ritornati all’antico, ovvero a un semplice Festival delle canzoni. Senza tanti fronzoli. Senza tanti incursioni.
E finalmente siamo ritornati agli applausi e alle standing ovation sincere del palco
È successo proprio alla performance di Cristicchi, canzone che gli anni scorsi è stata – guardacaso -volutamente scartata. Perché troppo conforme.
Perché troppo naturale. Troppo poco politically. Perché Cristicchi fa riflettere proprio sulla dignità del fine vita. Quella madre piccola, che ha dato la vita, oramai per la società è un essere inutile.
Per Cristicchi no, è un inno al rispetto della vita in qualunque forma, alla necessità dell’accudimento affettuoso e caritatevole, al bisogno di credere che non siamo macchine ma uomini con un cuore e un’anima.
E in un momento dove si vedono apparire leggi sul fine vita, certamente questo segno è importante soprattutto qui, in Toscana, terra che per prima ha abilito la pena di morte nel 1700 e che per prima vede, oggi, una legge che acconsente al suicidio assistito. Ma sotto ogni fragilità esiste una dignità. Perché la vita pur fragile e piegata dal dolore, è pur sempre vita
Nonostante la fredda aridità di una certa cultura di sinistra lo faccia credere, nessuna legge, nessuna norma, nessun atto può cancellare il valore delle cure mediche e l’accudimento di un malato. Perché quel malato è un padre, una madre, un fratello, un figlio. Un mondo di affetti e sentimenti.
E perché l’amore che accompagna fino alla fine è di fatto il più grande atto di amore.
Sanremo è ritornato Sanremo, con la sua semplicità, con i modi pacati che lo devono caratterizzare, eppure con una forza prorompente che smuove gli animi. Una forza dentro tutti gli italiani, stufi di sentire proclami strampalati e diritti insulsi.
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