Saviano a Sanremo: più che antimafia, uno spot a se stesso

IL MONOLOGO DELLO SCRITTORE DAL PALCO DELL’ARISTON È STATO UNA SVENTAGLIATA DI RETORICA FRAGILISSIMA, UTILE SOLO AL PERSONAGGIO

saviano

Saviano e Sanremo – La prima sera si sputtanano i “novax”. La seconda i “razzisti”. La terza i “mafiosi” e comunque gli indifferenti, i qualunquisti. Quelli che un tempo si chiamavano maggioranza silenziosa per dire i fascisti dentro. Poi veniteci a dire che Sanremo non è propaganda. La tabella di marcia procede inesorabile, tutte le categorie invise alla sinistra, al Pd che comanda in Rai e al Festival, messe alla berlina senza tante storie anzi nei modi più volgari o patetici.

Saviano, solita retorica insopportabile

Poi, per stracciarsi le vesti, vien buono Checco Zalone, anche se non si capisce in cosa avrebbe peccato, forse per la nomea di destrorso, di sovranista, inviso alla sinistra piddina. Che c’entra Roberto Saviano con Sanremo? “Per portare coraggio” dice lui.

Coraggio? Saviano, l’uomo che si fa il tampone da solo, sempre con quel dito sul naso a millantare carisma e sintomatico mistero. E che c’entra celebrare le stragi di Capaci e via d’Amelio, il cui trentennale cade di maggio e di luglio?

Ma andiamo, non fate gli ingenui: nel Festival inclusivo dev’esserci posto per tutti e per un Amadeus targato Lucio Presta bisogna trovare un contrappeso nel mafiologo gestito da Beppe Caschetto. La guerra di mafia non c’entra. La guerra di manager sì e il coraggio sta nel coraggio di rivendicare coraggio per salire sul palco dell’Ariston a recitare il solito pippone.

Già che lo accolgano come un trapper, che scenda le scale come Wanda Osiris, lascia straniti. Già che Amadeus chiami le stragi, i morti e parta una standing ovation fa incazzare. Due banalità sul “tenerli in vita” (Falcone e Borsellino), e scatta, pavloviano, l’applauso festivaliero.

Ma cos’è? Da qui è una sventagliata di retorica fragilissima ma pesante, logora e pedante. Smagliata come una vecchia rete da pesca: dentro ci sono quelli che si abbeverano alla lezione formato Bignami per scuole medie (inferiori) di un divulgatore di bassa lega. Mentre evoca, manco a dirlo, la macchina del fango, Saviano non parla dei giudici trucidati, parla di sé, come sempre.

È giusto trattare in modo così autoreferenziale, così superficiale, in una sagra del superficiale, un tema così tragico? Così potente? Chi di mafia si occupa, sa bene di Rita, l’adolescente dolorosa “adottata” da Borsellino, e sa che Saviano dice e non dice, omette quello che conviene, per esempio la terra bruciata a Falcone fatta dai compagni, dai retini, dall’eterno sparafucile Leoluca Orlando; il suo spiegone è sbrigativo, è imbalsamato, è frigido. È inutile.

Salvateci da Saviano

Tranne che per se stesso e per una politica cialtronesca che deve sempre intortare i giovani, i poveri cristi, i semplici, deve farli sentire in colpa, deve indicargli, in modo surrettizio ma vagamente ricattatorio, come pensare, chi seguire, di chi diffidare, chi detestare. È la lezione dei buoni, volatile, sierosa. Dieci minuti scarsi, per fortuna, giusto per piazzare l’imminente programmino dell’antimafia militante che farà pochi ascolti ma terrà su il fatturato del maitre del martirio con attico vista Central Park, farcito di benessere che lo ingrassa, lo invecchia precocemente. Che emozione a Sanremo!

Salvate il soldato Saviano, ma soprattutto salvate noi da Saviano, questa vecchia gloria che ormai va di repertorio. Generoso, però: “È venuto gratis” assicura Coletta, e speriamo che sia vero. Ma ci sarebbe voluto coraggio, a spillare soldi per questi cinque minuti di autopromozione così svogliati, così paraculi, altro che tensione civile a Sanremo.

L’esplosione immane, pilotata dal castello Utveggio, l’altra in città, apocalittica, liofilizzate in uno spot. Così parlò Saviano, anzi non parlò ma non c’era bisogno, ci siamo capiti e poi se gli han dato la scorta in tenera età dev’essere per forza un eroe, una bocca della verità col ditino sul naso.

Trovata da avanspettacolo

Veramente questa trovata da avanspettacolo tinta da impegno civile lascia perplessi. E c’è chi lo dice apertamente e a pieno titolo, sentite Antonio Vullo, unico agente di scorta scampato a via D’Amelio: “Ricordare le stragi mafiose del ’92 è sempre importante ma perché dare voce a Roberto Saviano? Io avrei preferito che a parlarne fosse il Nostro presidente della Repubblica Sergio Mattarella“.

Aspetta e spera! “Dovrebbero dare voce ad altre persone – dice il sopravvissuto – Mattarella avrebbe potuto parlare a tutta la nazione. Invece su Saviano sono scettico”. E va già bene che, con questi chiari di luna, non si prende lui del mafioso. C’è questa idiozia perniciosa del trinariciuto di sinistra, basta che uno pronunci la parola fatata, “razzismo”, e tutti si rotolano in terra, razzisti, razzisti, popolo di razzisti.

Per la mafia è lo stesso, arriva Saviano e anche se tutti sanno che sono parole vuote, innocue parole narcise, scatta il dovere di turbarsi, di commuoversi. A Sanremo più che canzoni commozioni in saldo, propaganda e la piaggeria nordcorreana del conduttore di regime Amadeus che ogni due per tre manda saluti, baci, ovazioni, ringraziamenti “al nostro grande capo dello Stato” e gli dedica, senza imbarazzo alcuno, “Grande Grande Grande” di Mina. Poi provate a dire che Sanremo non è istituzionale nella sua forma più servile, più conformista. Triste come un segno dei tempi, e sono tempi da fine impero, da provincia di un altro impero.

La corsa ai ringraziamenti

Ma che fa? Amadeus si consuma di ringraziamenti, a Mattarella, a Draghi, alla Rai, alla presidente Soldi, all’amministratore delegato Fuortes (“e tanti auguri all’amministratore delegato”, come recitava la figlia di Fantozzi), ai discografici, al signore e questore, come dice Catarella, a Saviano, agli uomini di buona volontà, che stanno tutti da una parte, quella giusta, per autonomina.

E anche questo è un sintomo, se non altro, di familismo amorale, di convenienza riverniciata di virtù, un po’ come l’antimafia mafiosa o l’altra dei pannolini, i giovani martiri che dalle fiaccolate, le marce, le navi della legalità salpano per sbarcare nella stessa Rai, nei partiti, nelle televisioni.

Un pezzo di Che tempo che fa a Sanremo: siamo o non siamo inclusivi noi della Rai, inclusivi, resilienti e resistenti ad ogni imbarazzo? Presta è un mancato sindaco renziano a Cosenza, Caschetto un ex sindacalista Cgil. Saranno pure rivali, ma rivali di parrocchietta e poi, come ha detto il direttore di Rai Uno, Coletta, qui non si fanno discriminazioni, questo è il Festival antirazzista, antifascista, antisovranista, antinovax. Tutto il resto sono dati sensibili.

 

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Fonte: nicolaporro.it

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