Scalfaro, il bigotto da salotto

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Scalfaro fu portato, sull’onda emotiva della strage di Capaci, alla presidenza della Repubblica. Un ex magistrato, che difese più il potere politico della magistratura che le sue nobili tradizioni di indipendenza ed imparzialità. Non lo si offende certo nel dire che non era né un Falcone o un Borsellino.

Partito quale ufficiale in pieno periodo bellico, fu tenuto ben lontano dal fronte. In quanto congedato poiché vincitore di un concorso in magistratura. In questo contesto si trovò nella curiosa ed imbarazzante posizione di svolgere le sue funzioni come magistrato fascista.

Questo poi non gli impedì di processare fascisti dopo la guerra, richiedendo anche, nella sua veste di pubblico ministero, la pena capitale. Salvo poi andare dallo stesso condannato a consigliargli di presentare appello. Almeno a quanto raccontò. Non che non fosse nei geni. La sua famiglia infatti venne nobilitata nell’ottocento dal Re giacobino, messo a capo del regno sottratto ai Borbone da Napoleone Bonaparte, Gioacchino Murat.

La famosa scena del ristorate

Era balzato alle cronache poiché, da buon bigotto, aveva criticato l’abbigliamento di una signora rispettabile in un noto ristorante, pubblicamente. Venne in breve sfidato a duello sia dal padre che dal marito della signora. Difficile che uno col suo temperamento avrebbe potuto accettare una sfida a singolar tenzone.

Oppose la sua profonda religiosità, quale condizione ostativa per il duello. Suscitando addirittura l’indignazione di Totò, per la debolezza delle sue scusanti, che lo criticò pubblicamente con un articolo sferzante sul quotidiano socialista l’Avanti.

Fu lambito dall’inchiesta di mani pulite. Se la cavò con un tracotante discorso dal tono dissuasivo per chiunque volesse provare a parlare di lui. Scandì un duro, quanto arrogante: “Io non ci sto”.

Ed un uomo che aveva fatto pienamente parte della prima Repubblica con i suoi pregi ed i suoi vizi volle tenere a battesimo la seconda millantando la propria totalmente estraneità, quasi fosse un novizio della politica, che faceva da solo mezzo secolo. Sciolse il Parlamento e decise di indire nuove elezioni.

Massimo D’Alema

Sicuramente Silvio Berlusconi era alle prime esperienze politiche. Ma altrettanto sicuramente l’inquilino del Quirinale lavorò sin dal primo giorno contro di lui. Persino tardando a dare l’incarico ad un uomo che veniva indicato una larghissima maggioranza parlamentare.

Fu il primo a dare con incarico ad un ex comunista di formare il governo, Massimo D’Alema. Ed anche in questo caso continuò ad usare la sua ingombrante figura. Mise un veto alla commissione bicamerale che stava lavorando alle riforme costituzionali sul toccare la prima parte della carta fondamentale.

Il tutto dopo alcuni comunicati negativi a riguardo da parte dell’Associazione nazionale magistrati, che era comunque nulla di più di un’associazione privata; e soprattutto quando questo non era stato proibito dagli stessi costituenti.

Sicuramente non fu un presidente capace di unire la nazione.

 

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