Se andasse al governo la fata turchina con un golpe di seta e di raso, metterebbe all’incanto il patrimonio immobiliare di Stato, dimezzerebbe la corte, allungherebbe la vita lavorativa e poi farebbe una dorata magia. Anziché limitarsi al pareggio in bilancio, già con gli enormi beni venduti, raddoppierebbe le entrate necessarie. E metà le userebbe in difesa, per coprire il debito; l’altra metà le userebbe all’attacco, per rilanciare il paese, l’occupazione, le grandi opere, senza il peloso sussidio europeo.
Perché se giochi solo in difesa, pensa la soave fatina, alla fine stai al punto di prima e ricadi nella miseria passata. La gente rattrappisce, la vita si mummifica, il paese si ritira in una risacca di depressione e perde fiducia, non osa il futuro ma si barrica a difendere il passato e i beni che ha, gli uni contro gli altri. E invece qui si deve aprire il castello, slanciarsi nei prati e non alzare il ponte levatoio né preparare l’olio bollente.
La fata turchina, scendendo dalla sua carrozza di zucca condotta da alati cerbiatti, lancerebbe sulla punta stellata della sua magica bacchetta messaggi di oro e di miele: lavoro ai ragazzi, fiducia nel legame sociale, tuteliamo i più deboli e premiamo i migliori, osate l’impresa, mangiate più frutta e sognate la vita.
È solo una favola, direte voi che siete già adulti. Ma chissà che le favole a volte non insegnino, come a Pollicino, a ritrovare la strada. (Ma a Draghi non dona il velo turchino e la veste di tulle, Letta e Brunetta stan male da alati cerbiatti e Mattarella narcotizzerebbe sul posto la leggiadra fatina).
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