“Carola Rackete libera!”
Lo slogan, risuonato in tutte le salse e rimbalzato su tutti i mezzi di comunicazione negli ultimi giorni, ha tutte le carte in regola per passare come un’intromissione del potere giudiziario in quello politico. E la prima impressione che si ha nell’apprendere le ultime notizie dei quotidiani è che taluni tra coloro che dovrebbero avere il compito di custodire la legalità, non abbiano alcuna intenzione invece di garantire l’indipendenza di un altro potere dello stato. Quello della politica.
Si, perchè non è cosa nuova che in Italia taluni giudici ambiscano a comportarsi da esegeti, con l’aggravante di interpretare tutto ciò che nella legge non è scritto, secondo una propria squisitamente personale visione, ovviamente preferibile rispetto alle normative in vigore. Eppure il giudice dovrebbe essere la “bocca della legge”. L’Illuminismo, con il suo coacervo di teorie riguardanti la separazione dei poteri, è servito a questo; le Costituzioni scritte con i loro checks and balances sono servite a questo: limitare il potere di interpretazione del Giudiziario assieme alle prerogative degli altri poteri. Altrimenti i giudici avrebbero assunto il potere di decidere ed – appunto! – giudicare in maniera del tutto arbitraria. Un potere enorme, se ci pensiamo un istante.
Altro che Leviatano! Uno stato in cui una sola categoria di individui assommasse sia il potere di giudicare secondo le leggi, che di creare le leggi, si configurerebbe come la peggiore delle dittature. Il giudice non partecipa al processo legislativo bensì lo applica nella quotidianità.
Emblematiche pertanto le parole di Carola Rackete immediatamente successive alla scarcerazione: “Sono sollevata dalla decisione del giudice, che considero una grande vittoria della solidarietà verso tutti i migranti e rifugiati e contro la criminalizzazione di chi vuole aiutarli“.
In buona sostanza questa assurda sentenza ha avuto l’effetto politico di legittimare coloro i quali violano i nostri confini, anche mettendo a repentaglio la vita dei militari che li difendono. Si delinea pertanto, chiaramente, la profonda crisi istituzionale nella quale viene posto ancora una volta il Paese. “Per la magistratura italiana ignorare le leggi e speronare una motovedetta della Guardia di Finanza non sono motivi sufficienti per andare in galera” – ha twittato il Ministro dell’Interno Matteo Salvini -. “Nessun problema: per la comandante criminale Carola Rackete è pronto un provvedimento per rispedirla nel suo Paese perché pericolosa per la sicurezza nazionale. Tornerà nella sua Germania dove non sarebbero così tolleranti con una italiana che dovesse attentare alla vita di poliziotti tedeschi“, ha dichiarato il Ministro dell’Interno. “L’Italia ha rialzato la testa: siamo orgogliosi di difendere il nostro Paese e di essere diversi da altri leaderini europei che pensano di poterci trattare ancora come una loro colonia. La pacchia è finita“.
Parole che sono un chiaro indicatore della profonda divisione tra poteri dello Stato nel nostro paese nonchè il sintomo di un forte indebolimento non di ‘questa’ o di ‘quella’ politica ma dello Stato in generale, dello Stato come entità. Adesso molti capitani di navi si sentiranno liberi di violare i nostri confini e di poter mettere a repentaglio la vita dei nostri soldati. E questo non per loro incoscienza, ma perché un importante organo dello Stato ha palesemente travalicato le sue funzioni costituzionali.