\Gli eventi di questi giorni nel Vicino Oriente hanno riportato per l’ennesima volta alla nostra attenzione il conflitto tra Israele ed il Popolo Palestinese, un conflitto che si trascina ormai da decenni senza una soluzione in vista: ambedue i contendenti affermano che il motivo delle proprie azioni è dettato dalla necessità di garantire la propria sicurezza.
Tuttavia, questo conflitto non è affatto un conflitto fra pari: se dal lato palestinese abbiamo pochi razzi rudimentali, dal lato israeliano abbiamo caccia-bombardieri di ultima generazione. La mancanza di proporzioni è chiaramente visibile nel conteggio delle vittime di questi giorni: a fronte di poche decine di feriti israeliani, ci sono 113 morti palestinesi, tra cui 27 bambini, e diverse centinaia di feriti. Ed ogni volta che il conflitto si riaccende i numeri sono simili.
Cause della violenza periodica
Qual è la causa di queste periodiche recrudescenze di violenza? In genere si tratta di una qualche discutibile iniziativa israeliana. Quest’anno si è trattato dello sgombero forzato di un quartiere palestinese a Gerusalemme Est. Ogni volta, i palestinesi reagiscono con proteste all’ennesimo sopruso israeliano, le forze di sicurezza israeliane reprimono le proteste con la violenza, Hamas spara alcuni razzi e l’esercito israeliano reagisce con le bombe e i carri armati: si tratta di uno schema ben collaudato, che le autorità di Tel Aviv implementano con regolarità scientifica.
Eppure, gli eventi politici dell’anno scorso, con il riconoscimento diplomatico concesso ad Israele da ben 4 stati arabi, avevano fatto ben sperare: c’era stato un certo rasserenamento e ciò lasciava sperare in una possibile normalizzazione dei rapporti internazionali nel Vicino Oriente.
Gli eventi di questi giorni hanno distrutto quanto di buono era stato costruito nel 2020.
Come non risolvere il conflitto
La verità è che non sarà possible risolvere il conflitto tra israeliani e palestinesi fin quando gli israeliani non riconosceranno i palestinesi come un soggetto politico paritario con cui avviare un dialogo sincero. Trent’anni fa tale dialogo era iniziato: i colloqui di Oslo, che si svilupparono nella capitale norvegese tra il ’93 e il ’95 e portarono alla nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese, furono indubbiamente un passo nella giusta direzione. Se il processo fosse continuato, l’ANP sarebbe stato il seme da cui sarebbe nato uno Stato Palestinese attraverso una graduale devoluzione di poteri e territori da parte di Israele.
Tuttavia, lo stato ebraico mancò ai patti, continuando a inviare coloni nei territori palestinesi. Ciò esasperò l’ambiente politico palestinese e portò alla vittoria elettorale di Hamas nel 2006. Quell’evento venne utilizzato come scusa da Israele per arrestare unilateralmente il dialogo: le autorità di Tel Aviv affermano da allora che non possono dialogare con un gruppo terrorista e si limitano alle sproporzionate repressioni di cui sopra.
Questo non è il metodo adeguato per risolvere la situazione: per ogni morto palestinese decine di reclute affluiscono in Hamas ed in altri gruppi estremisti. Certo, il terrorismo non è mai condonabile. Ma se consideriamo un atto terrorista il lancio di un razzo casalingo che fa pochi feriti, come dovremmo considerare il lancio di una bomba intelligente che fa decine di morti?
Come risolvere il conflitto
L’unico modo per risolvere il conflitto è un dialogo serio, con un attore riconosciuto internazionalmente, ovvero l’ANP. Se gli israeliani non sanno come fare, lo domandino ai britannici. Il Regno Unito aveva una situazione paragonabile a quella palestinese in Irlanda e gli attacchi terroristici erano all’ordine del giorno. Hanno provato per decenni a risolvere le cose con la repressione militare. Tuttavia non hanno ottenuto niente finché non si sono seduti a un tavolo e non hanno dialogato, con sincerità e senza pregiudizi.
La soluzione al conflitto palestinese esiste già: la Risoluzione 181(II) dell’ONU, che sancisce la creazione di uno stato ebraico ed uno arabo in Palestina. Ci sarebbe anche uno statuto speciale per Gerusalemme che terrebbe conto dell’estrema importanza che questa città riveste per entrambi i popoli.
Esiste anche un piano per implementare a livello pratico tale risoluzione, quello sancito dai sopra menzionati colloqui di Oslo, negoziato in piena libertà da entrambe le parti.
Il governo di Tel Aviv dice di voler garantire innanzitutto la sicurezza della propria popolazione e del proprio territorio, ma la violenza non è la soluzione adeguata. Se lo fosse, con la superiorità militare di cui l’esercito israeliano dispone, il conflitto sarebbe ormai terminato da decenni.
L’unica strada possibile è la creazione di uno Stato Palestinese solido, che possa esercitare un controllo sul proprio territorio. Solo così verranno garantite la sicurezza e la pace nella regione.
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