Sergio Barbadoro, nasce il 30 settembre 1920 a Sesto Fiorentino (FI) e muore in battaglia il 21 luglio del 1943 a Monreale, Comune alle porte di Palermo.
Il giovane Sottotenente, le cui eroiche gesta dovrebbero essere conosciute da ogni italiano, è stato commemorato ieri, nel giorno e nel luogo della sua morte, dai militanti di CasaPound Sicilia, con la presenza di una delegazione di militanti dalla Toscana. Barbadoro rappresenta il più alto esempio di amor patrio, dignità e coraggio, chi ama l’Italia deve conoscere la sua storia.
Come racconta l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, il 9 marzo del 1940 viene chiamato alle armi, ma ottiene il ritardo del servizio di leva per motivi di studio. Finita la scuola s’iscrive al primo anno presso “La Sapienza” per l’anno 1940/41. Il 3 gennaio del 1941 gode ancora della continuazione del rinvio per via degli studi universitari, ma già solo due mesi dopo Sergio non riesce più a studiare, non è sereno, lì al riparo, a casa mentre altri suoi coetanei si mobilitano, partono.
L’Italia è in guerra. Quasi tutti gli universitari, soprattutto se iscritti ai Gruppi Universitari Fascisti, non si sottraggono dal sottoscrivere volontariamente la richiesta per essere arruolati. Barbadoro così, dopo espressa domanda, rinunzia ai benefici del ritardo del servizio militare e chiede di essere destinato al più presto presso uno dei reparti mobilitati.
LA CHIAMATA ARRIVA IL 17 MARZO 1941
Per le sue doti d’intraprendenza e viene nominato prima Caporale e poi Sergente.
Fra fine ’42 e inizio ’43, si trova presso il deposito del 25° Rgt. art. d.f. “Assietta”. I reparti combattenti di quest’ultima sono dislocati in Sicilia sin dalla metà di agosto dell’anno prima. Qui, Sergio vi giungerà il 4 aprile 1943. Dieci giorni dopo le isole maggiori verranno dichiarate “zone di operazioni”. Nella notte fra il 9 e 10 luglio 1943, arriveranno due armate alleate: la 7ª americana del generale Patton e l’8ª britannica del maresciallo Montgomery.
Precedute la notte prima da lanci di truppe paracadutiste, alle 2:45 del 10 luglio iniziano le operazioni di sbarco, coperte dalle potenti bordate delle navi a largo (6 corazzate, 2 portaerei, 15 incrociatori, 128 cacciatorpediniere e centinaia di altre unità minori). Nei cieli l’aviazione nemica è onnipresente. A terra la forza è sconfinata: migliaia di uomini, armi di ogni genere e calibro, munizioni a iosa e tanti mezzi corazzati.
È il più grande sbarco che in quel momento la storia militare ricordi.
Dice uno storico inglese: “Vale qui la pena notare che l’attacco anfibio, condotto simultaneamente da 8 divisioni, fu ancora più massiccio di quello che undici mesi dopo sarebbe stato compiuto in Normandia”. Mai, prima di quel giorno, s’era visto niente di simile!
Alle ore 01.30 del 10 luglio, il generale Guzzoni, comandante della 6ª armata italiana e responsabile della difesa dell’isola, emana un comunicato:
“Il nemico ha iniziato le operazioni di sbarco in Sicilia. Ho ferma fiducia che la popolazione italianissima dell’Isola darà alle truppe che si accingono a difenderla il suo concorso spirituale e materiale. Uniti da una sola volontà cittadini e soldati opporranno all’invasore un fronte unico che stroncherà la sua azione e manterrà integra questa terra preziosissima d’Italia. Viva il Re, viva il Duce”
LA DIFESA DI PALERMO
L’arco difensivo è est-ovest. Il S. Ten. Barbadoro è comandato di predisporre un piccolo caposaldo a Portella della Paglia, così da sbarrare per quanto più sia possibile il passaggio al nemico, che rapidamente giunge dall’entroterra. Con un manipolo di soldati, come ordinato, prende posizione, pronto ad assolvere una disperata difesa a disposizione un unico pezzo d’artiglieria: un cannone ippotrainato da 100/17 che viene posizionato nel punto migliore. L’ufficiale sa usare bene l’arma affidatagli, ma è la responsabilità della vita dei suoi soldati che maggiormente lo preoccupa.
Il 21 luglio 1943
Il Magg. Francesco Morelli riceve l’ordine dal Gen. Molinero di compiere una ricognizione informativa lungo la linea a difesa della città in direzione sud. L’ufficiale d’ispezione giunge al varco dove Sergio vigila con i suoi e scrive:
“Raggiunta la linea predetta nella zona di Portella della Paglia trovai un pezzo anticarro sistemato a sbarramento delle provenienze da S. Giuseppe Jato. Detto pezzo era comandato dal sottotenente Barbadoro Sergio del I gruppo del 25° artiglieria Assietta” . Il piccolo presidio dal punto di vista difensivo è ottimo: domina la valle, è l’unica strada da questo versante che possa consentire la discesa per Palermo. La carreggiata è stretta da costringere qualsiasi autocolonna a procedere in fila indiana, rendendo i mezzi facile bersaglio.
Colpito dalla fermezza del giovane che ha dinanzi, nel resoconto leggiamo: “Il sottotenente Barbadoro, con il quale mi soffermai cordialmente a parlare, mi sembrò molto rincuorato e nello stesso tempo potetti scorgere dalle sue parole che aveva effettivamente del coraggio e possedeva nobili sentimenti di amor proprio”. Sono già le 4 del mattino del 22 luglio. “Assicuratomi – continua il rapporto – che tutti gli elementi della difesa erano perfettamente a posto, mi accinsi a partire. Il sottotenente mi si avvicinò e stringendomi la mano mi disse:
“Signor Maggiore stia tranquillo che di qui non passeranno, farò io stesso il puntatore e con i miei soldati non molleremo”
Gli Americani sono quasi arrivati al punto d’impatto. Quella che si profila alla visione dei nostri è una grossa unità nemica, gran parte della 2ª Div. corazzata statunitense. Il suo compito è di penetrare nell’entroterra palermitano e giungere nel capoluogo entro le ore 12 del 22 luglio.
Ma i loro progetti devono subire un’inaspettata battuta d’arresto. Gli Americani procedono perfettamente incolonnati lungo la strada, i primi mezzi vanno in ricognizione ed imboccano quindi l’ultima curva prima di trovarsi a diretta portata di tiro del cannone italiano. Fa da battistrada un carro pattuglia con sei uomini.
A quel punto Barbadoro ordina: Fuoco! Il veicolo avversario esplode con i suoi occupanti. Si spara con tutte le armi a disposizione, nel disorientamento degli Statunitensi. Tre mezzi corazzati nemici sono così inchiodati, due incendiati.
“Il cannone – scrive un reporter americano presente – che stava fermando tutta la nostra armata era in una posizione peculiare intorno di un promontorio fuori dalla nostra vista, era piazzato attraverso la gola 500 jard distante da noi, cosicché poteva sparare appena qualcosa si mostrava fuori del promontorio. Saremmo sicuramente morti se avessimo sporto la testa fuori della curva. Evidentemente i soldati che manovravano il cannone erano uomini decisi”.
Belden racconta: “Un nostro soldato si affacciò sopra la collina. Un proiettile immediatamente gli portò via la testa. Il colonnello comandante la nostra guardia avanzata inviò un immediato ordine per un plotone di uomini in camionetta. Essi vennero avanti e smontarono sotto di noi. Mentre essi facevano questo, un rumore come un fischio di uccello passante si sentì basso sulla testa ed una falda di roccia cadde giù sulla strada. Fucilieri stavano sparandoci dalla collina dietro a noi. Dimenticando cosa stava accadendo nell’aria dietro a noi gli uomini salirono la collina per aprirsi la strada verso il cannone”.
“Il colonnello – continua – prese un fucile dalla camionetta e salì sulla collina anche lui dicendo “Dannato se non riesco a piantare un colpo in quella postazione”.
Ma nulla pare riesca a far tacere la nostra difesa. Quel cannone e quei pochi soldati italiani non sloggiano. Lo scontro anzi aumenta d’intensità, Barbadoro continua da solo far fuoco col suo cannone, deciso ad andare fino in fondo, passano diverse ore di accaniti combattimenti. Agli americani serve la potenza di fuoco dell’artiglieria per vincere l’orgoglio di Barbadoro.
Sergio Barbadoro muore sul proprio pezzo, mantenendo alta l’antica tradizione dell’Artiglieria secondo cui l’ufficiale di quest’Arma, ove necessario, cada sul pezzo piuttosto che consegnarlo al nemico.
I soldati di Patton riprendono la loro marcia ma sono provati. Per ore hanno dovuto sudare il passaggio da quel valico, nonostante le soverchianti forze, grazie all’eroismo e allo Spirito patriottico di Sergio Barbadoro. Il suo corpo viene ritrovato dal Padre nel 1945, quando si recò in Sicilia proprio per cercare l’amato figlio nel luoghi in cui è andato incontro al Martirio.
Il 2 settembre 1945 viene finalmente tumulato presso il cimitero monumentale del Verano in Roma. Il 4 novembre 1946 gli viene concessa la medaglia d’argento al valor militare (alla memoria) con questa motivazione ufficiale:
“Comandato a sbarrare, con un pezzo, un passo di montagna all’avanzata di una colonna corazzata nemica, animava i suoi uomini trasfondendo in loro la sua fede. Durante l’impari combattimento durato nove ore e reso più aspro dalla mancanza di ostacoli anticarro, senza collegamenti e senza speranza di aiuto infliggeva gravi perdite all’avversario, aggiungendo nuova gloria alle gesta degli artiglieri italiani. Caduti o feriti i serventi continuava da solo a far fuoco sino a quando colpito a morte cadeva sul pezzo assolvendo eroicamente il compito affidatogli. Luminoso esempio di dedizione al dovere.
Portella della Paglia (Palermo) 22 luglio 1943”.
Nell’esatto punto in cui egli perse la vita, venne posto nel 2006, cioè 63 anni dopo il suo sacrificio un piccolo cippo su cui si legge:
“Qui eroicamente cadde il S. Ten. di complem. Barbadoro Sergio. Classe 1920 da Sesto Fiorentino”
Oggi proprio lì, 77 anni dopo, alcuni italiani hanno reso onore al suo sacrificio. Con il Tricolore in mano, gli occhi lucidi e il cuore gonfio di amore per l’Italia hanno gridato “Presente” verso il cielo. Sergio Barbadoro ha vinto la battaglia più importante: il suo Spirito non è morto, il suo esempio immortale rivive ogni giorno in ogni giovane italiano fiero di sventolare il Tricolore e consapevole che per la Patria si può e si deve sacrificare tutto.