Dito puntato contro i porno online. L’allarme arriva dal Regno Unito dove gli inglesi, che non a caso fino al 1967 hanno sfoggiato nel loro ordinamento il reato di sodomia e fino al 1868 punivano a pene severe e a morte i “trasgressori” (qualcuno ha detto Oscar Wilde?), continuano ad avere più di qualche complesso col sesso anale.
In un’allarmata analisi firmata dagli esperti del dipartimento di Cultura, media e sport del governo e dedicata al grande tema della pornografia, in special modo alla sua fruizione in giovane età, nella quale viene appunto riservata profonda attenzione al fenomeno.
A quanto pare, infatti, si traccia un rapporto fra l’elevato consumo di pornografia online e l’aumento, confermato da una ricerca del British Medical Journal datata 2014 e realizzata dalla London School of Hygiene and Tropical Medicine, delle pratiche di sesso anale fra i giovani fra i 16 e i 18 anni.
Insomma, se all’epoca della Lady di Ferro Margareth Tatcher, negli anni ’80, il problema era contrastare la diffusione dell’Aids, oggi la sfida ruota intorno alle preferenze dei giovani. Preferenze guidate dall’esplosione di materiali facilmente accessibili online. Anche perché la commissione governativa che ha compilato il documento scrive che “ricerche e sondaggi sul tema” suggeriscono “che spesso questa pratica non è vista come una piacevole attività per le giovani donne”.
Il problema starebbe appunto nell’educazione sessuale tramite la pornografia, visto che “nella loro vita i giovani si aspettano esperienze sessuali a specchio rispetto a ciò che vedono” in quel tipo di contenuti, “che spesso presentano ambigue raffigurazioni di consenso, stereotipi femminili sottomessi e scenari irrealistici”.
A dirla tutta il legame non è sostenuto fino in fondo. “Mentre l’aumento del sesso anale non può essere attribuito direttamente al consumo di pornografia – si legge ancora nel parere – c’è anche da notare come quelle pratiche occupino una larga fetta della pornografia mainstream, il 56% delle scene sessuali”.
Insomma, il documento suggerisce che restringere l’accesso ai video hard potrebbe ridurre la spinta a pratiche di questo tipo. Sempre, secondo l’etica dell’amministrazione britannica, con l’obiettivo di “proteggere i cittadini da ciò che può arrecare danno”. Come? In questo caso indagando l’impatto del porno sullo sviluppo del cervello dei ragazzi”.
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