SICUREZZA E RESPONSABILITÀ: DA DDL A DECRETO-LEGGE. IL SENSO DELLA SCELTA DEL GOVERNO
La decisione del governo guidato dalla presidente Giorgia Meloni del 4 aprile scorso di trasformare il disegno di legge sulla sicurezza in un decreto-legge (da convertire in legge entro 60 giorni) non rappresenta una deviazione dalla normale prassi legislativa, ma una scelta coerente, motivata e pienamente giustificata dai princìpi costituzionali di necessità e urgenza.
L’argomentazione sottesa alla decisione segue un percorso logico rigoroso: quando una proposta legislativa, pur già avviata in parlamento, tarda a concretizzarsi e risponde a esigenze concrete e pressanti del Paese – esigenze espresse in modo chiaro e trasversale dalla cittadinanza, dagli amministratori locali e soprattutto dalle forze dell’ordine – il governo ha il dovere istituzionale di intervenire con tempestività e determinazione
È in questo contesto che si colloca la trasformazione del ddl sicurezza in decreto-legge.
Il concetto di urgenza, spesso ridotto nel dibattito pubblico a una mera categoria retorica, assume in questo caso una valenza oggettiva e operativa: i continui episodi di violenza urbana, le aggressioni a pubblici ufficiali, l’impunità percepita per chi delinque, le crescenti richieste di intervento normativo da parte dei sindaci e delle prefetture sono tutti elementi che costituiscono una base empirica e documentata per invocare l’urgenza.
Non si tratta, dunque, di urgenza “percepita”, ma di urgenza sostanziale.
Distinguere tra “urgenza normativa” e “urgenza percepita” è legittimo sul piano teorico; ma nella prassi politica, quando la percezione pubblica si fonda su dati concreti e reiterati episodi problematici, la distinzione tende a sfumare
Il governo ha il dovere di rispondere a entrambi i livelli – quello dell’allarme sociale e quello dell’efficacia istituzionale.
Giorgia Meloni ha chiarito: “Non si tratta di un blitz, ma del rispetto degli impegni presi con i cittadini”. Questa affermazione non è solo una dichiarazione di principio: è il riconoscimento del vincolo morale e politico che ogni governo deve assumersi di fronte alla nazione.
Quando un programma di governo include misure chiare e promesse precise, la coerenza tra l’impegno preso e l’azione concreta è un elemento di responsabilità, non di arbitrio
In questa prospettiva, il decreto-legge non è una scorciatoia, ma uno strumento coerente con l’efficacia dell’azione politica, che permette di tradurre in norme applicabili ciò che sarebbe rimasto ostaggio di un percorso parlamentare rallentato da dinamiche estranee al merito delle misure.
Il decreto-legge sicurezza, composto da 34 articoli, interviene su fronti reali e strategici con una serie di provvedimenti concepiti per affrontare problemi specifici e urgenti, rilevati sul territorio da chi quotidianamente opera per garantire la sicurezza pubblica, tra i quali si annoverano misure concrete per rispondere a esigenze urgenti di ordine pubblico: rafforza la tutela delle forze dell’ordine con pene più severe per le aggressioni, assistenza legale e uso delle bodycam; prevede procedure rapide per sgomberare occupazioni abusive; contrasta il borseggio e lo sfruttamento dei minori; introduce reati specifici per le rivolte carcerarie e sanzioni per i blocchi stradali e ferroviari; prevede l’inasprimento delle pene e rafforzamento degli strumenti di prevenzione per proteggere le fasce più vulnerabili della popolazione
Inoltre, potenzia le misure antiterrorismo e impone obblighi informativi ai noleggiatori di veicoli per prevenire usi illeciti.
È significativo sottolineare che il governo ha attentamente recepito le osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, riguardo al precedente disegno di legge sulla sicurezza.
In particolare, sono stati rimossi o modificati sei punti critici evidenziati dal Quirinale, al fine di garantire la conformità del decreto ai princìpi costituzionali e ai diritti fondamentali, tra i quali: per i migranti che sbarcano in Italia sarà sufficiente presentare un documento d’identità (e non più necessariamente il permesso di soggiorno come richiesto nel ddl) per ottenere una sim telefonica; per le donne incinte che commettono reati viene data la possibilità al giudice di valutare le preminenti esigenze del minore anche in presenza di una condotta grave della madre; le pubbliche amministrazioni, i gestori di servizi di pubblica utilità, le università, le società controllate e partecipate e gli enti di ricerca non sono più obbligati né a collaborare con i servizi di sicurezza né a stipulare convenzioni che obbligano a cedere informazioni e dati anche in deroga alle normative in materia di privacy, ma resta la parte che autorizza gli agenti dell’intelligence a partecipare e a dirigere associazioni sovversive e terroristiche e a prendere parte ad associazioni mafiose; si chiarisce che, all’interno delle carceri, il reato di ‘rivolta’ si considera commesso solo in presenza di violazioni di ordini impartiti “per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza” e non invece per qualsiasi altro tipo di ordine; identiche modifiche sono state introdotte per quanto riguarda il delitto di rivolta all’interno dei centri per il rimpatrio dei migranti, mentre è stata esclusa la configurabilità di questo tipo di reato nei centri di accoglienza.
Queste misure non rispondono a una concezione astratta della sicurezza, ma sono pensate per risolvere problemi specifici, ricorrenti e urgenti, rilevati sul territorio da chi ogni giorno si confronta con la realtà: agenti, amministratori, cittadini.
La sicurezza non è un concetto vago o ideologico: è la condizione minima per esercitare ogni altra libertà. Senza sicurezza, non c’è libertà di movimento, non c’è fiducia nello Stato, non c’è piena cittadinanza. In questo senso, il decreto-legge risponde a un principio fondamentale dello Stato di diritto: garantire l’ordine pubblico, proteggere i più deboli, rafforzare l’autorità della legge.
Le misure adottate sono proporzionate, mirate e reversibili: nessuna compressione arbitraria della libertà, ma un uso legittimo e bilanciato del potere normativo in risposta a situazioni ben determinate
In definitiva, la scelta del governo di procedere con un decreto-legge sulla sicurezza è un atto di responsabilità istituzionale e di coerenza politica. Non si tratta di rinunciare al confronto parlamentare, ma di agire quando la lentezza dell’iter mette a rischio l’efficacia delle risposte attese.
I cittadini chiedono sicurezza, legalità e ordine: questo decreto è la risposta concreta e tempestiva a quella domanda
Nel rispetto della costituzione e dei diritti fondamentali, il governo conferma così la propria linea: un’Italia più sicura non è solo possibile, ma è doverosa.
Leggi anche:
www.facebook.com/adhocnewsitalia
SEGUICI SU GOOGLE NEWS: NEWS.GOOGLE.IT