Telefonate ad ogni ora del giorno, fatte anche nelle sedi di lavoro, dove invece dovrebbe essere rispettata la privacy, da operatori telefonici che parlano a malapena l’italiano, visto che molte di queste società hanno filiali in Romania e Albania. Il fenomeno delle società di recupero crediti che, come predatori affamati, danno la caccia ai debitori è sempre più dilagante, e non sono rari i casi in cui gli operatori telefonici ricorrono a mezzi poco ortodossi: non si fanno scrupoli, per esempio ad alzare la voce, minacciare l’intervento di esattori o preannunciare imminenti espropriazioni immobiliari.
Del resto il problema dei prestiti bancari non restituiti è molto sentito in Italia. Negli ultimi anni abbiamo visto i crediti deteriorati gonfiare, fino a diventare una vera e propria montagna: alla fine del 2015, gli Npl (non performing loans) ammontavano a 340 miliardi: circa un terzo di tutte le sofferenze patite dalle banche dei paesi dell’Eurozona. Solo grazie a misure di emergenza adottate (nuove linee guida della Bce) lo stock di crediti non performanti in Italia ha visto l’avvio di una fase di riduzione a partire dal 2016. Ma chi sono i veri responsabili di questa situazione? le famiglie o i piccoli imprenditori che non riescono più a rispettare le rate concordate con la banca? E che poi vengono lasciate in pasto ai predatori delle società di recupero? Sembra proprio di no.
In base ad una elaborazione sui dati di Banca d’Italia, si evince che il nostro sistema creditizio sia molto polarizzato. Mi spiego meglio. La migliore clientela, pari al 10 per cento del totale, riceve ben l’80 per cento di tutti gli impieghi erogati dalle banche. Ma a differenza di quanto ci si dovrebbe attendere, è proprio qui che si annidano la stragrande maggioranza delle sofferenze. In pratica, a questa piccola fetta è riconducibile il 75 per cento dell’ammontare totale delle sofferenze. In buona sostanza i dati affermano che il primo 7% per cento di affidati – costituito quasi esclusivamente da grandi aziende, grandi famiglie e gruppi societari, sono stati la principale causa della crisi (e spesso del fallimento) di varie banche Italiane, salvate solo grazie ai soldi dei contribuenti italiani.
Dietro il problema dei crediti in sofferenza quindi non c’è solo la crisi ma soprattutto il rapporto “incestuoso” che certi banchieri hanno avuto con i creditori, mentre chi doveva vigilare, non lo ha fatto. É evidente quindi che per risolvere il problema dei crediti a sofferenza non bastino né le oscene normative europee (vedi bail-in), nè l’ipocrito controllo degli addomesticati “Stress Test”, né tantomeno le società squalo di recupero crediti, che aggrediscono coloro che meno contribuiscono alla creazione del problema, comprando magari anche a meno del 12% deL valore effettivo degli npl ceduti, e realizzando quindi, con le modalità sopra descritte ampi guadagni.
Occorre senza indugi tornare alla separazione tra banche ordinarie e banche d’affari, oltre che una commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario permanente, che smascheri a tempo debito le magagne dei prestiti agli amici degli amici.
Invece allo stato attuale, chi ci guadagna veramente? I debitori vessati da stalking bancario, molti dei quali saranno costretti a chiudere la loro azienda, oppure le Banche, comunque costrette a cedere questi npl recuperando solo gli spiccioli? A guadagnarci ovviamente saranno sole le società di recupero crediti (che grazie a Bankitalia, Consob e BCE, i primi perché non hanno fatto il loro mestiere, la seconda invece perché ha preteso un rientro molto rapido che spinge le banche a liberarsi velocemente dei crediti vendendoli a prezzi stracciati).
Recentemente il gruppo Parlamentare di Fratelli d’Italia ha proposto un disegno di legge che prevede il riacquisto dei crediti deteriorati da parte dei debitori in sofferenza. Il disegno di legge riguarda un milione di soggetti, tra famiglie e piccole e medie imprese, che potranno riacquistare il proprio debito ad un prezzo ragionevole – il 20 % in più del prezzo a cui la banca lo stava vendendo a soggetti finanziari intermediari spesso a prezzi stracciati. Una misura d’equilibrio e soprattutto di buon senso, che riammette il debitore nel circuito produttivo garantendo comunque alle banche un giusto profitto.