STATI UNITI D’EUROPA O UNIONE SOVIETICA EUROPEA?
Prendo a prestito da Fabio Dragoni questo titolo per sottolineare la distinzione tra le aspirazioni europeiste che sovente vengono sbandierate con tanto orgoglio e conseguente intolleranza verso il dissenso e il triste stato delle cose, quando si parla di progetto comune europeo.
Tutti a parole si dichiarano favorevoli a un Europa forte, politica, capace di dire la sua con voce unitaria e bla bla bla. Quando poi si tratta di declinare sul campo che cosa voglia dire tutto questo, si scontano gli abissi divergenziali tra i propositi e i fatti, e le posizioni appaiono subito chiare
Da un lato ci sono i feticisti di questa Unione Europea che con piglio devozionale e mistico evocano misteriosi “Stati Uniti d’Europa” senza tuttavia descriverne alcun processo costituente.
Senza cioè immaginare una politica che sappia uscire dal ricatto finanziario e mercatistico su cui si fondano gli attuali assetti continentali. Comprendo sia difficile mettere in discussione questi ultimi visto che costituiscono il DNA dell’Unione Europea e che privarsene vorrebbe dire uccidere se stessi.
Ma cionondimeno quello è il primo passo da compiere e in assenza del quale, ogni devozione europeista è destinata a rimanere una masturbazione mentale di quale allucinato da bar
Quando lo si fa notare ai feticisti della Disunione Europea, questi rispondono che è tutta colpa degli Stati sovranisti se non si può avviare alcun serio dibattito su tale processo costituente, perché essi sarebbero troppo gelosi della propria sovranità da non volerne cedere pezzi.
Costoro tuttavia omettono di riferire che i primi nemici sono da ricercare altrove
Ossia in quell’asse Berlino-Parigi che per decenni ha ostacolato con forza e vigore ogni processo realmente unitario.
Ciò in quanto la cessione di sovranità nazionale sinora effettuata dai paesi dell’Unione, è andata sempre e solo a vantaggio di dinamiche scelte decise a Parigi e a Berlino. Caso emblematico, la defenestrazione dell’ultimo governo Berlusconi anticipato dalle risatine del duo maravilla Sarkozy-Merkel
Un’ Europa che sin dai suoi primordi è nata per evitare futuri conflitti tra Germania e Francia (gli altri paesi sono più o meno corollari all’asse, ad eccezione dell’Inghilterra la quale infatti si è sempre tenuta lontana da pastoie politico-amministrative-burocratiche, sposando sino alla Brexit solo l’aspetto del MEC) e che ha trovato nel rapporto privilegiato fra queste due nazioni il core business dell’intero progetto europeo, di talché qualsiasi innovazione che fosse destinata in qualche modo a impattare su questo equilibrio, veniva cassata o enormemente ritardata. Il risultato è stato quello di sconfessare completamente le premesse sognatrici, finendo per costruire un Moloch burocratico dotato di competenze numerose e anche assai precise dove non dovrebbe averne, e imbarazzanti lacune laddove invece sarebbe opportuno un intervento tempestivo, veloce e possibilmente efficace.
Una specie di Unione Sovietica in salsa europea con tanto di apparati elefantiaci, burocrati sempre pronti a dettare la linea, organi sforniti di reale legittimazione democratica e un sentire sempre molto lontano dal cittadino europeo e dalla sua vita reale o quantomeno dalla sua percezione
Non è un caso, infatti, che difficilmente nei cittadini sia sorto un “patriottismo europeo” come qualcuno sostiene, pensando magari che nasca per magia o per effetto di un demiurgo a Bruxelles. Difficile immaginare un amor di Patria continentale, quando il popolo è considerato a prescindere incapace di comprendere le dinamiche che regolano le scelte europee ma che invece deve essere indotto ad accettarle acriticamente.
Insomma si può costruire un patriottismo ignorando i patrioti?
Io non credo proprio!
La realtà dei fatti, infatti, è tutt’altro che rosea. Lo scetticismo quando non l’aperta ostilità verso le istituzioni comunitarie è trasversale e abbondante (sebbene non sempre giustificato) e passa per la verifica empirica delle conseguenze di determinate scelte.
Invero, a memoria futura degli aspiranti europeisti, c’è da ricordar loro che un patriottismo che non nasca dal basso, dalla “prossimità della comunità” è destinato a fallire, tanto più se imposto da vertici evanescenti e impalpabili, chiusi in torri d’avorio inaccessibili e animati da ideologie mercatiste e globaliste che sanno di trozckyismo di ritorno. Insomma, se il popolo è ignorato, persino temuto, non può stupire che questo non sia per nulla attratto da questo ideale “europeo”
A ciò aggiungasi che questo ideale ormai è appannaggio esclusivamente dei progressisti da finanza e ZTL, con elites ben felici di negare le radici europee, del tutto indifferenti al tema dell’identità, e ben volenterose a cancellare il passato continentale, che poi sarebbe la risorsa su cui si dovrebbe fondare l’Amor di Patria europeo.
Il sogno degli Stati Uniti d’Europa – benché il sottoscritto medesimo, dopo aver letto approfonditamente il Manifesto di Ventotene ed esserne in parte abbastanza disgustato – si è trasformato in una Unione Sovietica Europea dove chi dissente dal mainstream è condannato all’oblio con anatemi vari ed eventuali
E coerentemente, i guardiani del pensiero sono pronti ad assecondare ogni deriva grottesca, sia essa sul linguaggio neutro, sulle tradizioni cristiane, sulla storia dei popoli europei.
Poi, quando arriva qualcuno da Oltreoceano a richiamarci all’ordine, la reazione è quella del superficialotto permaloso colto in fallo con le mani nella marmellata.
E, se questo può essere ininfluente quando tali atteggiamenti sono appannaggio degli europeisti da poltrona, diventa assai più grave quando a manifestarlo sono gli stessi vertici comunitari
Come altro spiegare la reazione improvvisa di ieri di Emmanuel Macron (che di questo tipo di europeismo è l’alfiere indiscusso) con un vertice del tutto inutile, malconvocato il cui unico effetto è stato quello di mostrare ancor di più la disunione esistente in continente?
Finché si continuerà con questo infantilismo viziato, l’europeismo sarà solo una bella parola.
Insomma, la sensazione è quella di una grande opportunità persa perché si è preferito passare ottant’anni a rimiarsi alla specchio in una immaginaria bellezza dalle sorti magnifiche e progressive (ricordiamoci le parole di Prodi alla vigilia dell’entrata in vigore della moneta unica), senza investire alcunché nella costruzione di una identità comune, dal basse e persino da zero
Per non parlare dell’allargamento indiscriminato degli aderenti, al netto di ogni profilo comune in termini di storia, valori, democrazia ecc. Un “più siamo meglio è” che va bene per la sagra della porchetta, ma non certo per un progetto politico di ampio respiro.
I fatti di questi giorni, con le trattative per la fine del conflitto in Ucraina, ma in generale la gestione dei dossier più scottanti a livello internazionale, vedono un’Unione Europea messa ai margini, considerata figlia di un dio minore
Insomma, un ospite sgradito che tocca avere a cena ma di cui si farebbe volentieri a meno. Convengo che può essere triste, ma pensare di poter dare la colpa soltanto agli altri, è esercizio sterile di retorica nostalgica che non serve a nessuno, tantomeno all’Europa (che è cosa ben diversa dall’UE).
Dall’altra parte c’è chi affronta il problema dell’Europa con senso critico e meno dogmatico, consapevole della necessità di provvedervi senza però maturare sentimenti estatici
Insomma, chi prova a guardare con disincanto la realtà e prova a immaginare strade per la messa a terra dell’onirico sogno degli Stati Uniti d’Europa. Ebbene, da questo punto di vista non si può prescindere dalla totale rivoluzione riguardo a ciò che è stato finora, a partire dalla valorizzazione dei popoli europei, la cui volontà deve tradursi in una forte autocritica valoriale, diretta a individuale i tratti comuni dal punto di vista culturale, sociale e poi politico.
E magari questo “communis sentire” provare a tradurlo in istituzioni comunitarie diverse, legittimate democraticamente – indipendentemente dall’esito gradito o meno all’elites – ed espressione di una volontà comunitaria
Certo, un giorno immaginare pure un Presidente degli Stati Uniti d’Europa, sul modello americano.
Ma rimaniamo umili! Al momento sarebbe sufficiente immaginare un processo che coinvolga tutti gli stati in maniera paritaria (senza vie preferenziali), che snellisca le procedure decisionali e che riformi gli organi di vertice
Il tutto mutuando dagli anglosassoni quel pragmatismo e quel realismo oltreché un minimo di buon senso che non renda ostaggio i cittadini europei di derive ideologiche “interessate” da conflitti di interesse patenti sovente di natura economica (si guardi il caso Von de Leyen, o il rapporto imbarazzante con il Qatar) in presenza dei quali ogni anelito europeista sarà destinato a rimanere una proiezione onirica e onanistica di una setta religiosa.
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