Stati Uniti e Israele, il rapporto incrinato

Stati Uniti e Israele, il rapporto incrinato

La tragica fine die 6 ostaggi israeliani uccisi da Hamas in questi giorni nella striscia di Gaza apre le porte a una imbarazzante verità di cui molti fingono di non accorgersi: il difficile rapporto tra USA e Israele in questa guerra che si protrae ormai da quasi 11 mesi.

Gli ostaggi erano tenuti a Rafah, proprio quella città in cui per mesi Israele avrebbe voluto entrare in forze per sgominare Hamas e liberare i prigionieri, ostacolata in ciò proprio da un atteggiamento a di poco tiepido dell‘Amministrazione Biden, la quale paventava rischi di perdite immani fra la popolazione civile palestinese; rischi che – è bene sottolinearlo – mai si sono verificati, essendo stata quella dell’IDF un’operazione con – fortunatamente – pochissimi effetti collaterali

Una avanzata dunque rallentata dal braccio di ferro con Washington che è costato a Israele tempo prezioso e vite umane.

A giudicare dunque dal sopra indicato atteggiamento, potremmo dire, senza tema di smentita che l’Amministrazione Biden-Harris si è resa protagonista in questi mesi di una politica assai discutibile caratterizzata da una certa ambivalenza che, nel caso di specie, ha avuto effetti catastrofici.
Perchè se da un lato Biden prima e Harris poi, a parole dichiarano la loro vicinanza e il loro sostegno a Israele, dall’altro, l’azione diplomatica e politica degli USA non sempre è coerente con tali propositi.

Un’ambiguità di fondo che è il segno distintivo dell’azione di Biden che sarà ereditata inesorabilmente nel caso in cui Kamal Harris dovesse vincere le elezioni presidenziali a Novembre

E per rendersi conto di tale ambiguità è sufficiente guardare alle esternazioni della candidata democratica rese in queste settimane.

Si pensi alla nettezza con la quale Kamala Harris ha difeso il diritto a esistere e difendersi di Israele (meritorio!), immediatamente smentita dalla supposta necessità di un cessate il fuoco da parte di Gerusalemme, rilanciando peraltro il solito ormai statio slogan „due popoli due stati“ che oggi – rebus sic stantibus – pare una mera utopia priva di qualsivoglia fondamento politico e giuridico-internazionale.

Infatti, il cessate il fuoco seppur motivato da esigenze umanitarie, avrebbe come primo e immediato effetto collaterale quello di consentire ad Hamas di riorganizzarsi e di riarmarsi, come nella miglior tradizione della guerra musulmana dai tempi dei quraeyshiti.

Esito che Israele non può minimamente accettare, pena il rischio di nuove e più importanti offensive da parte dell’organizzazione terroristica, che sarebbero ancor più nefaste alla luce dei continui attacchi alle città israeliane che provengono non solo da Gaza, ma anche dal Libano e dagli Houthi

Hamas, da canto suo, è ben consapevole delle crepe nel rapporto fra Usa e Israele e utilizza queste contro lo Stato Ebraico con una strategia precisa e disinvolta atta a minare le fondamenta dell’alleanza occidentale.

Non per nulla, al netto della propaganda, è sempre Hamas a rifiutare le condizioni per una tregua talvolta rifiutando nettamente ed esplicitamente, talaltra, mediante richieste irrealistiche e del tutto inaccettabili. Come conseguenza, la guerra va avanti e Israele si aliena sempre di più le simpatie di buona parte dell’Occidente, Usa compresa.

Israele ha il diritto di difendersi ma è importante come lo fa, infatti sostiene la Harris ben sapendo che la seconda parte del discorso – per quanto logicamente inappuntabile – di fatto serve a demolire la perentorietà della prima stante la sua estrema genericità

E, l’attrenzione costante a come Israele si difende (questione mai sollevata per altre nazioni in guerra nel recente passato e presente) offre un chiaro punto di vista su quale sia il pregiudizio che alligna nei confronti dello Stato Ebraico che deve essere perennemente sotto tutela ideologica di chi ne scompone la strategia difensiva a caccia di presunte violazioni del diritto internazionale. Violazioni che non si sono verificate!
Preoccupa che tale retropensiero sia proprio di chi da Novembre potrebbe trovarsi a guidare il c.d. mondo libero.

Un pregiudizio, i cui effetti pratici sono sotto gli occhi di tutti, dal momento che mentre proseguono i contatti per una tregua, il Presidente americano ha dichiarato di voler interloquire con Egitto e Quatar, ma di rifiutarsi di parlare con Netanyhau reo di non lavorare per la tregua.

Poco importa se, come detto, le condizioni richieste da Hamas siano palesemente provocatorie e inaccettabili (quali ad es. La liberazione di centinaia di palestinesi pericolosi, o la rinuncia al presidio della linea di Filadelfia).

La colpa è di Netanyahu

Una mostrificazione del primo ministro israeliano che collide con la logica, ma che tuttavia ben si presta al gioco dei fautori della c.d. pace (che pace non sarebbe!) fra cui appunto anche Biden e Harris.

Un amibiguità invero ch esi spiega bene con le logiche di politica interna americana alla vigilia delle presidenziali. C’è il voto delle minoranze islamiche da conquistare e la sensiblità verso i palestinesi è in tali comunità tanto farlocca quanto mediaticamente ostentata.

C’è, inoltre, l’ala di sinistra del partito che è palesemente pro pal, quando addirittura non pro Hamas considerata una forma di resistenza antifascista. Insomma un vasto mondo „democratico“ che è troppo rischioso scontentare a pochi mesi dalle elezioni.

Non è un caso che proprio su questo tema la Harris abbia incassato il plauso entusiasta di Alexandra Ocasio Cortez quando ha dichiarato di lavorare per un cessate il fuoco a Gaza (che naturalmente riguarda, di fatto, solo Israele).

C’è infine la volontà smisurata di raggiungere un obiettivo importante da giocare in campagna elettorale. UN gioco cinico condotto sulle spalle di Israele!
Parafrasando altri tempi e altri modi, potremmo dire „Gerusalemme val bene una messa“!

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