Dieci anni fa, come oggi, spariva dal display della vita reale Steve Jobs. Come per i faraoni, proseguirono per svariati giorni i funerali di Steve Jobs. Poi il funerale a Silicon Walley per i Vip e le esequie alla Apple per i dipendenti. L’ammirazione per Jobs è innegabile, fu esploratore planetario di prima grandezza, la straordinaria incidenza dei suoi prodotti nella vita globale è lampante, ma vedo due ombre.
La prima. Il mondo ha celebrato tramite lui la tecnica e il mercato. Nella società globale i mezzi prendono il posto dei fini, gli strumenti contano più degli scopi. Le rivoluzioni oggi non le fa la storia ma la tecnologia e protagonisti sono gli oggetti, non i soggetti. È davvero un progresso per l’umanità, diventare il rimorchio dei nostri oggetti, abdicare a loro lo scettro della vita nostra?
La seconda riguarda il culto della Mela, la Mac-Religione, che riverbera nello zelo missionario dei suoi adepti nel convertirci al Dio Apple. C’era un’aura mistica intorno a Jobs come il fondatore di una nuova religione. E la sua Mela evoca la Mela biblica, ma violata dal morso proibito. Anzi qui la Mela non è lo strumento del peccato ma l’icona della divinità.
È significativa una coincidenza: mentre moriva il profeta del Dio Mela nasceva a Silicon Walley il cimitero digitale dove è possibile garantirsi sul web l’immortalità che non si spera più nell’Aldilà. Dopo la cremazione, c’è la digitalizzazione, così il defunto resta on line per sempre. Del corpo resta nell’etere l’icona, che è l’equivalente dell’anima nel web. Tony Curtis si fece seppellire col suo i-phone. Peccato che non si tratti di immortalità ma di i-mortalità, come tutti gli i- di Jobs di così rapida mortalità per tenere vivo il mercato. L’eternità è tutta un’altra storia.
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