A proposito della vicenda di Reggio Emilia e di altre simili e non meno sconvolgenti, pubblico di seguito il contributo di Vincenza Palmieri, psicologa, fondatrice dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare
Emozionati, sorpresi, increduli. Ciò a cui assistiamo oggi è la conferma di decenni di lavoro. Un lavoro fatto di ricerca, ascolto, raccolta di informazioni. E di denunce, richieste di aiuto. Di infinito lavoro nelle aule dei Tribunali, nelle sedi dei Servizi, negli angusti spazi di CTU “terre di nessuno”, arroganti e colluse.
Sembrava, fino a poco fa, ancora e sempre la protesta di gente inascoltata. Per quanto, a protestare, fossimo: professionisti, ricercatori, accademici, giornalisti, famiglie, bambini. Eppure, erano una protesta e una voce che cadevano costantemente nel vuoto, di fronte al gelo e all’indifferenza delle Istituzioni.
Improvvisamente, oggi, tutto questo non c’è più.
Improvvisamente, tutto appare vero. Tutto appare credibile.
Tutto è credibile.
Lo abbiamo raccontato attraverso le pubblicazioni, i best seller di questi anni: “Mai più un bambino”, “I Malamente”, “Papà, portami via da qui – dedicato ad Anna Giulia, sette anni, cittadina italiana”.
E oggi è doveroso dire grazie a coloro che hanno creduto e condiviso.
Siamo qui perché non ci siamo fermati mai, neanche per un solo momento.
Ma è proprio qui e ora che non possiamo che dire “NON SOLO REGGIO EMILIA”. Non possiamo che fare l’elenco, infinito, delle città, dei paesi, delle mamme e dei papà, dei bambini che forse aspettano ancora di ritrovare il ricordo e l’immagine della propria famiglia.
Non è solo Reggio Emilia, non è solo lo scandalo di un Paese, non è solo quell’orrore infinito.
Finalmente ha iniziato a emergere ciò che andiamo denunciando dal 2000: dalla Sardegna al Trentino, dalla Lombardia alla Sicilia.
Ci sono 40.000 minori, in Italia, in queste stesse condizioni.
Questi bambini fantasma devono ritornare in vita: è il momento di costruire il dossier Italia e di sbrogliare la matassa, caso per caso.
Con tutto il lavoro fatto, siamo detentori di storie e documenti che raccontano una infinità di tragedie simili.
Ora che l’attenzione delle Amministrazioni e del Potere politico non potrà voltarsi dall’altra parte, è il momento di spingerci a denunciare fino in fondo.
Ho sempre sostenuto che non si tratti solo del business delle case famiglia; ma che, da anni, il cuore del problema si annidi nelle pieghe del potere politico; perché le cooperative private che ottengono gli appalti, di fatto, garantiscono pacchetti di voti.
È così: è una questione di voto di scambio. A partire dalla Legge 328 del 2000 che, riformando il Sistema Assistenziale, delegò – di fatto e di norma – la Tutela dei Minori (quella che dovrebbe essere l’area più attenzionata di tutto il nostro Paese) a cooperative di privati, al servizio di più Comuni e interconnesse fra di loro.
Tale norma, infatti, prevede che i Comuni sotto i 5000 abitanti, in consorzio o associati tra di loro, si possano convenzionare con cooperative private per offrire servizi.
Ed ecco che ritroviamo – su territori molto estesi – la cooperativa dei Servizi Sociali, quella degli Educatori Domiciliari, quella dei Centri per la Famiglia (in genere Centri di Neuropsichiatria) e infine quella delle Case Famiglia che, in alcuni territori, è presente anche nella forma di case gestite da ordini religiosi.
In Italia ci sono oltre 6000 Comuni con meno di 5000 abitanti. Immaginiamo quante cooperative e quanti servizi parcellizzati, che si autoalimentano e sostengono fra di loro.
Dal punto di vista amministrativo, non sono strutture dipendenti dal Comune né delle ASL. Sono privati che hanno vinto un appalto; un bando pubblico spesso pagato profumatamente. A volte sono parenti tra di loro. Non rispondono all’autorità del Sindaco, a meno che non sia stato lo stesso Sindaco a pilotare la gara di appalto, per garantirsi così favori e nuovi voti.
In alcuni territori, sono i grandi poteri politici che si muovono. Tali cooperative, per continuare a vincere appalti, devono garantire voti e fare promesse.
Per sopravvivere, questo sistema ha bisogno di segnalazioni da parte dei Servizi, di valutazioni della capacità genitoriali che si risolvono (quasi) sempre con il “verdetto” di inadeguatezza, presso i Centri per la Famiglia e simili.
Mentre la valutazione della capacità dura da 6 mesi ad un anno – e dà lavoro ai membri di una cooperativa – il bambino a rischio sottrazione riceve l’Educativa Domiciliare (nota come ADM) da parte di membri di un’altra cooperativa o viene direttamente collocato in casa famiglia, per la sua “messa in sicurezza”.
Tutti privati, vincitori di appalti.
L’ADM è un’altra criticità all’interno di questo sistema. Nonostante la riforma che ha interessato gli Educatori e che dovrebbe dare dignità a tali figure professionali, questo delicato servizio spesso è svolto da lavoratori sottopagati (anche a pochi euro di paga). Sostituiti in più casi da sedicenti mediatori culturali, utilizzati impropriamente nel ruolo di educatori, badanti, OSS, semplici adulti che devono occuparsi di bambini di 3 anni. Mi è capitato di incontrarne alcuni con l’aspetto più da secondini che da teneri educanti; a volte anche con una scarsa conoscenza della lingua italiana.
Da sottolineare che costoro devono poi stilare improbabili “relazioni copia/incolla”, in cui spesso si travalica il buon senso. Fino ad esprimere valutazioni diagnostiche che finiscono sul tavolo dell’ignaro giudice; il quale, a fronte di tale relazione, può anche ordinare una messa in sicurezza urgente del minore.
Il tutto mentre genitori e nonni vengono travolti da valutazioni, test, colloqui clinici, osservazioni; ingerenze sulla pulizia della casa o sull’ordine degli armadi, sulla tenuta o meno della cameretta o circa il lettone in cui dormiva il bambino.
Relazioni e richieste del genere: “cambia casa, metti la dentiera, allontana i nonni dai tuoi figli, vai a vivere da sola, prendi la patente”. O comunicazioni attraverso WhatsApp che recitano: “tornando a casa non troverai i tuoi figli perché siamo già andati a prelevarli”. Magari parlando di “rapporto simbiotico” e prescrivendo un allontanamento perché “di troppo amore si può morire”.
Questo sistema di gare ed appalti vede bandi milionari, in cui le Case Famiglia rappresentano solo un aspetto del gigantesco giro di soldi che viene mosso.
Le cifre degli appalti, essendo pubblici, sono visionabili su tutti i portali delle amministrazioni comunali. Ogni cittadino può sapere quanto guadagnano le varie cooperative sul territorio e scoprire il sistema clientelare, il politico territoriale che li governa, li sponsorizza e da cui ricava bustarelle e bacini di voti.
Se un bambino costa da 70 a 400 euro al giorno quando è collocato in casa famiglia, pensiamo a quanto frutti l’appalto vinto dal “Centro per la Famiglia” (nome convenzionale) per le valutazioni, quanto quello gestito dai Servizi Sociali, quanto costi la Cabina di Regia Territoriale.
Ed ecco che comprendiamo il senso dell’allora Legge Turco, n. 328/2000 – Legge Quadro di Riforma dei Servizi Socio Assistenziali – che tradì le prime opportunità per l’infanzia e l’adolescenza previste dalla Legge 285/97, che tanto invece era stata apprezzata.
Si è andati, così, a privatizzare e trasformare un fiore all’occhiello dell’Italia in un sistema mafioso.
Oggi è un sistema che si autoalimenta e si tutela attraverso l’omertà tra i vari pezzi del puzzle.
Il nutrimento sono i bambini, il target-bersaglio sono le famiglie fragili; solitamente quelle economicamente più bisognose, che spesso si aggirano nei corridoi dei Comuni a chiedere un sussidio o qualche buon consiglio dal Sindaco, dall’assessore che hanno votato in precedenza e da cui si aspettano, nelle more della legalità, un buono pasto per la scuola, qualcuno che aiuti i bimbi a fare i compiti, la casa con una stanza in più. O che si sentono al sicuro lì, nella “casa del popolo”. Ma che, invece, finiscono nella trappola della filiera psichiatrica
La convocazione degli Stati Generali sulla Sottrazione dei Minori, prevista per la fine di settembre a Roma – e di cui ci facciamo immediatamente promotori – ha lo scopo di mettere sul tavolo degli imputati la Legge 328/2000, il Sistema delle CTU e delle perizie che pilotano le sentenze e alimentano questo sistema, le Linee Guida nazionali per l’applicazione del sistema diagnostico.
Un sistema che è una rete di interconnessione in cui vogliamo vedere cadere squali e non bambini, bambini bersaglio.
Vogliamo completare il dossier Italia sulla sottrazione dei Minori perché tutto questo non accada più.
Grazie alla sinergia tra Associazioni, Enti, Istituzioni, Liberi Cittadini, Famiglie colpite da questo orrore italiano, vittime che vogliono diventare artefici di un nuovo percorso, Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, Consorzi per i Diritti Umani, Pedagogisti Familiari, Avvocati, Operatori, Giornalisti, Educatori, Amministratori e tutta la Cittadinanza Attiva.
Ora è il momento del fare, lasciando il dolore “un po’ più in là”. Il momento è ORA.
Vincenza Palmieri
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