Paolo Sebastiani– Parliamo di Carcere: ha ancora un senso nel 2019 o le pene dovrebbero essere scontate diversamente?
Alessio Bonciani – E’ una domanda estremamente complessa, perché è la madre di tutte le questioni che poi portano a valutare quale pena debba subire una persona. È chiaro che c’è per forza da fare una differenziazione. Non si può mettere la detenzione di un assassino o di uno stupratore o di un soggetto socialmente pericoloso allo stesso pari, di quelli che oggi, anche ai termini della prescrizione si chiamano “crimini dei colletti bianchi”, o reati contro il patrimonio o altre forme di delinquenza, che delinquenza rimane ma che dà un senso diverso allo scopo detentivo.
Io sono dell’idea che il carcere debba avere si una funzione rieducativa, di reinserimento, ma non nascondo, perché sarei un ipocrita, che la pena detentiva, intesa nel senso di pena da scontare e di giustizia fatta anche per le vittime dei reati, mantenga comunque una sua importanza. Non li lascerei assolutamente in una gabbia, né per il bene delle persone che ci stanno, che rimangono esseri umani, né per i costi della collettività. Li farei sicuramente lavorare.
Massimiliano Manzo – Bisogna valutare che il costo del detenuto è immenso sulla collettività. Io credo che ci sia da contemperare l’esigenza di prevenzione, di sicurezza, e quindi questo è sicuramente percorribile, anche per i crimini più efferati. Bisognerebbe riuscire a trasformare i carceri, e questo potrebbe essere un grande investimento che ci porterebbe enormi benefici, trasformato all’interno però. Proprio per rendere il carcere un qualcosa di produttivo e quindi di industrializzare, passatemi il termine, l’istituto di pena e quindi la casa circondariale per poi portare a profitto questo istituto, così che anche le pene lunghe diventerebbero produttive di attività di lavoro.
Paolo Sebastiani – Credete ancora nella giustizia italiana?
Massimiliano Manzo – Io ci credo e ci devo credere per la professione che svolgo. Ovviamente io dico sempre che generalizzare è sbagliato. Ci sono giudici che io stimo in maniera incondizionata, grandissimi lavoratori, persone che hanno una testa eccezionale e anche persone che sanno applicare il diritto al caso concreto e poi ci sono, ma come anche nella professione di avvocato e come in tutte le altre professioni, quelli che hanno meno voglia di lavorare e che hanno meno interesse a portare avanti i processi in maniera oculata.
E quindi ci credo, che poi nella giustizia si deve sempre credere. Non perché c’è un elemento che non va bene all’interno della stessa si debba smettere di credere alla giustizia. Quindi cerchiamo di crederci e cerchiamo di migliorarla sempre, noi avvocati e dall’altra parte i magistrati, sempre tenendo la schiena dritta, perché uno dei punti fondamentali secondo me è che l’avvocato deve sempre sentirsi pari rispetto al giudice, portare avanti con dignità la professione e credo che un danno sia stato fatto forse dal sovrannumero di colleghi e anche un po’ da un certo servilismo anche di alcuni professionisti nei confronti dei giudici. Bisogna essere garbati ma ottenere lo stesso rispetto, dare e ottenere lo stesso rispetto.
Alessio Bonciani – Sicuramente la giustizia ha bisogno di profonde riforme. La prima tra queste è, non per riprendere un cavallo di battaglia del mio ex schieramento politico, che è quello della separazione delle carriere perché, sembrerà banale ma che l’organismo giudicante e la parte dell’accusa debbano avere lo stesso piano, avere gli stessi percorsi di carriera secondo me è uno degli elementi critici della sfiducia nella giustizia. Dico anche una cosa però: quando si parla di giustizia si pensa solo ai magistrati; io ho conosciuto nella mia vita e nella mia esperienza magistrati a cui si deve il tributo del cappello, gente che lavora tantissimo e che lavora in condizioni estremamente difficili. Molti dei problemi della nostra giustizia non dipendono dai magistrati ma dipendono da tutto l’impianto burocratico e ministeriale che potrebbe essere molto più snello.