C’è la svolta nelle indagini sulla tragica fine di Libero Foti, il cui corpo smembrato era stato trovato il 2 novembre sul balcone di casa a Trieste in via del Veltro in un sacco nero dell’immondizia, decapitato. La compagna ha confessato. In base alla ricostruzione fatta dalla Squadra Mobile coordinata dalla Procura di Trieste, tutto sarebbe avvenuto al culmine di una lite scaturita perchè la vittima si sarebbe opposta alla partenza della donna in direzione Ucraina.
L’allarme scatta venti giorni fa, quando alcuni condomini che non avevano notizie dell’uomo da diversi giorni chiamano la poliia. Una volta giunti sul posto gli Agenti della Volante con l’ausilio dei Vigili del Fuoco, hanno raggiunto il balcone dell’appartamento sito al terzo piano facendo la macabra scoperta: sul pavimento del poggiolo, accostato al parapetto, si trovava la sagoma di un corpo umano, avvolto in una coperta.
La porta era chiusa, senza segni di effrazione. Tutto in ordine in casa: il cestino dei rifiuti vuoto e col sacco appena cambiato, il letto rifatto, oggetti e suppellettili a posto; nulla faceva pensare ad una colluttazione. Anche la salma era composta, adagiata in terra supina e accostata al parapetto, coperta da un plaid e avvolta in un copriletto in pile; sotto, il corpo chiuso in sacchi in plastica neri per l’immondizia, la testa all’interno di un altro sacco nero. Dalle indagini è emerso che molti giorni prima, sabato 12 ottobre, i vicini di casa avevano sentito dei rumori e delle grida dall’appartamento di Libero Foti. Poi solo silenzio.
La convivente dell’uomo, proprio nella stessa giornata, intorno alle 14.00, era partita dall’aeroporto di Venezia con volo diretto a Kiev: è stato accertato anche che la donna aveva raggiunto l’aeroporto di Venezia con un mezzo GoOpti, che aveva fatto la spesa pochi giorni prima del 12 ottobre, acquistando, tra l’altro, sacchi neri per l’immondizia e che aveva acquistato il biglietto aereo in data 25 settembre.
Foti è stato soffocato con un sacchetto nero dell’immondizia, colpito con un fendente non penetrante al collo ed alla mano, verosimilmente dopo la sua stessa morte, chiuso in sacchi neri di grandi dimensioni, “imballato” con del nastro adesivo trasparente, avvolto in delle coperte e, poi, accostato all’esterno del poggiolo nella speranza che tale sistemazione potesse ritardare le esalazioni dovute alla decomposizione.
Appurato che la donna, affetta da gravi patologie, era probabilmente in Ucraina, atteso che aveva manifestato a più persone la ferma volontà di raggiungere la propria figlia per attendere il decorso della malattia, attraverso il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia della Direzione Centrale della Polizia Criminale di Roma è stata localizzata proprio lì.
La donna ha confessato tutto: avrebbe avere agito per respingere presunti tentativi dell’uomo di colpirla con un coltello, poiché si opponeva alla sua partenza, la mattina stessa del 12 ottobre. Dopo avere colpito l’uomo in testa con una bottiglia, lo ha soffocato, chiuso in alcuni sacchi neri e, dopo averlo avvolto in alcune coperte per meglio spostarlo sul pavimento, lo ha sistemato sul poggiolo. È morto così.