“Tutto nuovo, tutto gratis”.
All’insegna di questo slogan l’allora premier Giuseppe Conte, con il cosiddetto decreto-rilancio, aveva introdotto e disciplinato il super-ecobonus noto come 110%.
La cessione del credito non è stata una novità di Conte, in quanto già la legge di stabilità del 2016 (art.1, comma 74, legge 208/2015) offriva la possibilità di optare appunto per la cessione del credito in alternativa alla detrazione Irpef in dichiarazione dei redditi. In quel periodo si sono succeduti due Presidenti del Consiglio, Renzi e Gentiloni; Ministro dello Sviluppo Economico in entrambi i governi era Carlo Calenda.
Per la verità pochi conoscevano – fino all’avvento di Conte – tale possibilità di cessione del credito, anche perché le aliquote non superavano il 75%. Con l’art.119 del DL 34/2020 (il decreto-rilancio di cui sopra) è stata introdotta la cessione al 110%. Da subito si sono evidenziati i limiti e i problemi: lavori inventati o fittizi (con varie frodi accertate), problemi di riciclaggio e auto-riciclaggio, newco di varia natura create ad hoc, moltiplicazione di liquidità – in quanto le cessioni erano diventate forme improprie di pagamento – e aumenti indiscriminati nei prezzi dei prodotti dell’edilizia. Un caos.
Mario Draghi nel novembre 2021 ha messo un fermo a tutto ciò.
Tuttavia la macchina delle cessioni del credito era ormai partita, anche per effetto del tam tam mediatico. Il mercato si era ormai “drogato” nei prezzi e le aziende avevano cassetti fiscali pieni. Per evitare o limitare tutto ciò, bastava magari che la percentuale di cessione fosse del 90% e non del 110%.
Adesso tornare indietro è un problema grosso. L’edilizia è da sempre il settore trainante di una economia ed una recessione avrebbe conseguenze pesanti. Soluzioni? Ci sono per fortuna, ma non sono indolori né per i conti pubblici, né per quelli delle aziende private. Una di queste potrebbe essere un “flat” al 50 o massimo al 65%. Il problema peraltro non è solo il futuro delle cessioni del credito, ma anche e soprattutto il pregresso. Le aziende sono cariche, stracariche di importi nei cassetti fiscali, di fatto liquidità che non hanno incassato e che dovranno smaltire se va bene in 10 anni nei bilanci (ma il 90% è in 5 anni). Ce la potranno fare? Le cessioni rischiano di diventare da opportunità a perdite di bilancio.
Una possibile soluzione è che il Governo cerchi di rendere liquide o almeno liquidabili le cessioni di credito dei cassetti fiscali, consentendo una maggiore libertà di circolazione degli stessi verso aziende che invece producono redditi.
Certo questo significa una mancanza di introiti fiscali, che potrebbe aggravare i conti pubblici.
Vi sono però due fattori positivi che possono aiutare il Governo Meloni:
1) l’inflazione, che notoriamente riduce il debito pubblico (più si prolunga la spinta inflazionistica, meglio è per il Governo).
2) i Btp, che sono al palo rispetto ai tassi attuali e comportano meno esborsi che negli anni precedenti.
Basterà per uscire dal circolo vizioso?
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