Il 20 febbraio 1909 usciva con un clamore internazionale su “Le Figaro”, a Parigi, il Manifesto di fondazione del futurismo, stilato da F.T Marinetti, poeta, letterato e geniale comunicatore.
Con quello scritto programmatico Marinetti inaugurava una modalità di comunicazione dirompente e inedita per la cultura, utilizzata sino ad allora solo nella propaganda politica o nella nascente pubblicità, perché, come scrisse, «gli articoli, le poesie e le polemiche non bastano più. Bisogna assolutamente cambiare metodo, scendere in strada, prendere d’assalto i teatri e introdurre il pugno nella lotta artistica». Strumento di comunicazione “rumoroso” e popolare, il manifesto, diffuso con volantini stampati talora in centinaia di migliaia di copie, declamato nelle battagliere e frequentatissime “serate futuriste”, o pubblicato su organi d’informazione non specialistici, destinati a un pubblico vasto ed eterogeneo, rappresentava un’assoluta novità e una specificità del futurismo rispetto alle altre avanguardie europee del tempo.
D’allora in poi, il movimento avrebbe adottato questa pratica comunicativa per ognuno dei molti ambiti in cui si avventurò (dalla poesia alla pittura alla scultura, dall’architettura alla danza al teatro, dalle arti decorative alla grafica, alla pubblicità), nel suo sogno di saldare l’arte e la vita ridisegnando l’intero orizzonte umano.
Dall’11 ottobre al 9 febbraio 2020, a Palazzo Blu di Pisa, i picchi più significativi di questo straordinario movimento artistico si ritrovano, eccezionalmente, l’uno accanto all’altro nella mostra intitolata “Futurismo”, organizzata da Fondazione Palazzo Blu insieme con MondoMostre e curata da Ada Masoero. La mostra ha il patrocinio della Regione Toscanae del Comune di Pisa. Il catalogo della mostra è edito da Skira Editore.
Attraverso più di cento opere dei maestri del futurismo (in grande maggioranza, dipinti museali o d’importanti collezioni private, oltre ad alcuni disegni, progetti e oggetti d’arte), la rassegna si propone, per la prima volta, di provare come i più grandi fra gli artisti futuristi seppero rimanere fedeli alle riflessioni teoriche enunciate nei manifesti, traducendole in immagini dirompenti, innovative e straordinariamente felici sul piano artistico.
Ogni opera è stata dunque scelta, oltre che per la sua qualità, per l’aderenza ai punti teorici fondativi del movimento. E dei numerosi artisti visivi che, nel tempo, si unirono al futurismo, sono stati deliberatamente inseriti i soli firmatari dei manifesti presi in esame: con l’inevitabile conseguenza di esclusioni talora dolorose, che tuttavia hanno garantito il sempre alto livello qualitativo delle opere esposte.
Due sole le eccezioni alla regola: una in apertura, con lo spettacolare ritratto di Marinetti di Rougena Zatkovà, forse il più fedele al vulcanico temperamento del fondatore, e una in chiusura, con Prima che si apra il paracadute, 1939, l’opera di Tullio Crali scelta come immagine di copertina del catalogo della grande mostra “Italian Futurism 1909-1944. Reconstructing the Universe”, curata da Vivien Greene nel 2014 per il Solomon Guggenheim Museum di New York, con cui il museo rendeva omaggio al futurismo, riconoscendogli un ruolo d’eccellenza fra le altre grandi avanguardie europee del primo ‘900.
Il percorso è aperto dagli esordi divisionisti comuni ai cinque “futuri futuristi”: Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini.
Scandita in sezioni intitolate ognuna a un manifesto, la mostra attraversa poi trent’anni di arte futurista, muovendo dal 1910, quando uscirono i due manifesti pittorici firmati dai giovani “padri fondatori”. Di Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini sono esposti numerosi capolavori ispirati con evidenza a quei due testi. Immediatamente dopo, si esplorano le emozionanti trascrizioni visuali del Manifesto della scultura futurista, 1912, steso dal solo Boccioni dopo il viaggio a Parigi di quell’anno.
Entrano poi in gioco le “parole in libertà”, i cui principi furono formulati per la prima volta da F.T. Marinetti nel 1913, nel manifesto L’immaginazione senza fili e le parole in libertà, e i nuovi modelli architettonici, dettati nel 1914 da Antonio Sant’Elia nel testo L’architettura futurista, illustrato da sue opere magnifiche (e “profetiche”), seguite dalle opere “belliche” a sostegno dell’interventismo futurista nella Grande guerra (manifesto Sintesi futurista della guerra, 1914).
Con Ricostruzione futurista dell’universo, 1915, di Giacomo Balla e Fortunato Depero, si assiste alla nuova volontà dei due artisti di diffondere i modelli formali del futurismo sull’intera esperienza umana, in una spinta d’innovazione ignota alle altre avanguardie europee. A illustrarla, sono dipinti, sculture, oggetti, bozzetti, giocattoli realizzati dai due autori.
Entra poi in scena L’arte meccanica, 1922, documento firmato da Enrico Prampolini, Vinicio Paladini, Ivo Pannaggi, che connotò con i suoi modelli geometrici e “industriali” l’arte visiva dell’intero decennio, mentre il congedo è affidato al Manifesto dell’Aeropittura, 1931, firmato da Marinetti con Balla, Benedetta (Cappa Marinetti), Depero, Dottori, Fillia, Prampolini, Somenzi, Tato, che per tutti gli anni ’30 ispirò opere suggestive e spettacolari, qui esposte al piano superiore.
La mostra è stata resa possibile dalla qualità e quantità dei prestatori, ben 29, tra i quali figurano la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, con nove opere; il Museo del Novecento e la GAM di Milano con 16 opere; il Castello Sforzesco di Milano (Civico Gabinetto dei Disegni e Collezione stampe “Achille Bertarelli” con dieci opere); il Mart di Rovereto con ben 21 opere, il Museo Caproni di Trento, con due opere, e altre importanti collezioni pubbliche e private.
In mostra, brevi citazioni dai manifesti guideranno alla comprensione del significato di quelle che potrebbero apparire come invenzioni brillanti e curiose, ma che sono in realtà trascrizioni di un vero sistema di pensiero.