In Piazza dei Tigli a Firenze non è che di ti tigli ce ne siano parecchi. Come in Via delle Magnolie, del resto. Per gli abitanti, il profumo inebriante della magnolia è un piacere da sperimentare altrove. Ormai, sono piaceri da boschi verticali meneghini, non da periferie, non più tali, di città di media grandezza, specie se le città in questione sperimentano la condanna di una vita vissuta contemplando un passato medievale di roccia dura e puntuta, inframezzato da una grandezza rinascimentale violentata da un turismo d’assalto. Una primavera opprimente ottunde i sensi e l’attenzione di chi si aggira per Piazza dei Tigli. Una luce accecante, appena filtrata da pochissime nubi leggere che trapuntano il cielo. Grumi di polline volteggiano nell’aria. Gente vestita in modo improbabile, dalle mezze maniche al Woolrich. Gente non tanta, in effetti, data l’ora e il giorno. Polizia dappertutto, compresa la Digos che bivacca sulle scale comuni di condomini un tempo popolari. In un angolo, una ventina di persone, pugno sinistro levato, intonano “Bella Ciao”. Bandiere della Pace e striscioni che ripetono slogan usati compaiono su qualche terrazzo. Il tutto, senza troppa convinzione, come in un film non particolarmente memorabile, visto troppe volte per dovere d’ufficio da occhi e menti troppo distratte.
Dovrebbe essere un comizio politico, ma pare una sagra di paese, fissata in un giorno e in un’ora non particolarmente azzeccati. Seguono interventi interessanti, ma prevedibili: la sicurezza; l’accoglienza nel rispetto dei diritti; il Capitano che ha trasfigurato la Lega, da paritito nordista a partito nazionale di destra popolare; Firenze che deve cedere il passo a un’amministrazione di diverso colore etc. Poi giunge Torselli, il più efficace nel clima soporifero d’inizio primavera, efficacissimo; brandisce dati, difficilmente controvertibili, persino a Firenze e in Italia, dove anche i dati appaiono spesso una variabile: nero su bianco, le mozioni, iniziative, disegni di legge, o come diavolo si chiamano a livelllo comunale, proposte da Nardella e soci, appaiono lunari, inaccettabili, e grottesche, persino a una platea resa ebbra dall’empito riproduttivo di una primavera che pare alla fine.
A un tratto sul paco si presenta un uomo che pare il pizzicagnolo di quartiere: sovrappeso, indubbiamente, pulloverino blu notte, barbetta bianca incolta, sguardo mite. Afferra il microfono e dice la sua. La platea, impollinata, ascolta. Il discorso è bello, bello per davvero. Un misto di passione, concretezza, ironia, buon senso, amore per Firenze e la sua storia, rispetto per le persone e le loro idee. Persino il cattolicesimo non pare fuori luogo, in un contesto storico-sociale che vorrebbe relegarlo al chiostro e alle nenie monastiche. Chesterton citato spesso e a sproposito, il più delle volte da chi non lo ha mai letto (come il Brecht di “beato il Paese che non ha biosogno di eroi “), pare in questo caso alquanto azzeccato. Vedremo se Bocci sarà per davvero sostenuto, e se i fiorentini vorranno scommettere su un personaggio proteiforme, devoto alla Vergine ed esperto di cose umane, persino umanissime, finanza inclusa. La posta in palio è alta. La scommessa dovrebbe essere tentata. E magari vinta. L’uomo pare più che meritevole.