Una coppia di giovani sposi viene massacrata a Lecce da un giovane loro amico, senza motivo. Un’altra coppia a Prato subisce una mattanza da parte di un loro amico, finora senza motivo. Un ragazzo a Colleferro fu pestato a morte da alcuni energumeni, straziato senza motivo. Un bambino di undici anni a Napoli si suicida lanciandosi dall’undicesimo piano, senza motivo. L’elenco potrebbe continuare a lungo e soprattutto in largo, se varchiamo i confini. Casi diversi, vicende e biografie imparagonabili, patologie differenti, ma un solo filo conduttore: sono senza motivo. O, se preferite, il motivo è solo nella testa di chi uccide, o si suicida; non è mosso da niente di vero e reale.
Viene data grande risonanza pubblica e giudiziaria ai femminicidi e ai delitti d’omofobia e xenofobia o passionali. E risale talvolta il terrorismo ideologico e politico, il fanatismo religioso o etnico. Che sono forme di violenza legate ancora, seppur in modo perverso, al mondo, a una fede condivisa, a un passato e un futuro, a un rapporto conflittuale di alterità. Invece c’è un capitolo ancora più abbietto e scabroso: uccidere senza movente, per reazione a nulla, non per vendicarsi di qualcosa, un legame tradito, una passione violata, o per fame, per torti subiti.
Ma uccidere per stati mentali alterati, squilibri narcisistici, percezioni deviate o per affermare la propria potenza muscolare, il proprio dominio, o per risarcirsi all’opposto della propria impotenza, dei propri complessi d’inferiorità. Come definire questo tipo di omicidio e talvolta di suicidio? Nichilicidio. Ammazzare per niente. Meno che futili motivi, come sarebbe l’uccidere per un sorpasso, per un alterco condominiale, per un’auto sfregiata, per tifoseria. Meno, ancora meno. E non si tratta in molti casi di accessi di follia, perché sono piuttosto comportamenti ricorrenti o come nel caso di Antonio a Lecce, sono preparati meticolosamente fin nei dettagli; più che premeditati, pregustati.
In altri tempi le uccisioni senza spiegazioni si sarebbero attribuite al demonio, invasati, posseduti, dagli spiriti maligni. E su quel bambino che si è lanciato dall’undicesimo piano è forte il sospetto che abbia avuto un’influenza diabolica su di lui il fenomeno social di Jonathan Galindo, l’uomo col cappuccio, mascherato nell’innocua sembianza di Pippo, che chiede di seguirlo all’inferno; sembra quasi la versione web di Satana.
Ma l’istigazione in rete come l’invidia per una coppia felice, o la pura esibizione della propria potenza muscolare, la volontà di annientare l’altro che ha osato frapporsi al loro narcisismo dominatore o violare il loro territorio, sono qualcosa di peggio del futile motivo. Rientrano appunto nella casistica, sempre più gremita anche se rimossa o ridotta sempre a casi unici, speciali, patologie eccezionali, di quello che abbiamo chiamato nichilicidio, ammazzare per niente.
Come è possibile che si uccida per niente? È un caso estremo ma si ammazza per niente laddove si vive per niente. Viene abbattuta, rimossa, ridicolizzata ogni pallida motivazione di vita, ogni visione che giustifichi l’esistenza, le dia un senso, e magari un compito, una proiezione. Espiantata la religione, perduto il timor di Dio, sradicato il legame comunitario e territoriale con una comunità, una patria, una famiglia; perduto ogni orizzonte ulteriore, o inaccessibile ogni apertura spirituale, culturale, metafisica; la vita resta desolata, in un deserto.
Vivere senza motivo per le masse, uccidere o uccidersi senza motivo per le menti più disturbate. Il nichilismo di un’epoca si fa nichilicidio nelle sue punte degenerate. Certo, è abissale la differenza tra chi vive l’insensatezza ogni giorno e chi nel nome della stessa infligge o istiga alla morte chi capita. Però i casi estremi indicano una situazione reale, spiegano a volte nell’eccesso, i comportamenti diffusi, i riflessi condizionati, le coazioni a imitare, il desiderio di cancellarsi o di cancellare che prende varie forme, spesso autolesionistiche. Alcuni si limitano a uccidere sul web o a rimuovere dove possono; altri lo fanno sul serio, l’eliminazione diventa fisica.
Vivere senza movente è il problema di partenza. Ogni volta che si annuncia come una radiosa liberazione l’essersi finalmente affrancati da ogni dio, da ogni religione, da ogni tradizione, amor patrio, da ogni devozione ideale, storica e carnale, da ogni legame familiare, affiora la demente euforia che chiamano libertà, autonomia… sono finalmente me stesso, non devo render conto a niente e a nessuno di quel che sono, che penso, che faccio. Ma non è una conquista, è una perdita: non guadagni la libertà ma perdi il motivo di esistere e di rapportarsi al mondo. Vivi per vivere, il tuo dio è il tuo narcisismo, i tuoi desideri e i tuoi piaceri. E null’altro. Il mondo è solo ombra e ingombro al tuo ego.
Ma questi discorsi ancora prima di confutarli vengono respinti con fastidio non dai diretti interessati ma dalla società e dai suoi vigilanti ideologici; ridotti a insopportabili paternali, a retorica moralista, tacciati d’ingerenza autoritaria, di prevaricazione nella vita altrui. Chi sei tu per giudicare…
E invece è preferibile una società in cui ognuno giudica l’altro e attraverso l’altro se stesso, anche se sarebbe preferibile il procedimento inverso, a una società di monadi che non giudicano, non si interessano a nessuno, non fanno bilanci e paragoni ma vivono in libertà, puntando solo a star bene con se stessi. Fino a che qualcuno uccide in libertà, senza motivo, per gioco o perché gli andava di farlo, non sopportava… Non abbiamo ancora compreso la potenza annientatrice del Nulla, quel nichilismo che chiamiamo libertà.
MV, La Verità
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