Dopo quello di Mandela, dipinto nel 2018, per mano di Jorit, dallo stesso esecutore è stato completato a Firenze il ritratto di Antonio Gramsci.
Un altro murale divisivo dopo quello del partigiano Pillo in pieno stile sovietico di cui parlammo tempo fa, alla sua inaugurazione.
Un murale quello di Gramsci peraltro venuto anche così così, visto che molti, tra chi ha commentato la foto del muro quasi finito, pubblicata da Jorit su Facebook, hanno pensato si trattasse di Di Maio. O di Diego Fusaro.
Non grandi complimenti all’esecutore come si vede.
Invece in Palazzo Vecchio sono orgogliosi delle loro scelte, perché infatti son state scelte interne, non discusse, non condivise.
Le dichiarazioni entusiaste della giunta
“In questo momento“, sottolinea nel comunicato stampa l’assessore alle politiche giovanili Cosimo Guccione, “è ancora più rilevante valorizzare e rigenerare gli spazi abitativi di Firenze, dove i cittadini sono chiamati a restare per fronteggiare la pandemia. E con questa iniziativa artistica pertanto vogliamo far sentire la presenza di istituzioni, realtà culturali cittadine e artisti di fama internazionale tutti uniti nel trasmettere il messaggio di Gramsci contro l’indifferenza e per una comunità solidale, partecipativa, sensibile verso il disagio che tutti stiamo vivendo“.
Ma per questa opera nessuna deliberazione è stata richiesta. Nessun bando nessuna discussione. Alla faccia della comunità partecipativa.
Una decisione sul soggetto, che appare figlia di nessuno, visto che l’autore non ne ha rivendicato la paternità. Per sua ammissione, un soggetto vale l’altro, basta lo paghino.
Una decisione in stile Soviet di un soggetto non fiorentino
Allora la decisione è da ricercare in Comune.
Anche questa volta, infatti, in base alla delibera comunale N.2020/G/00444 2020/00564 del 17/11/20, per il murale non sembra esserci traccia del parere di esperti né di bandi pubblici.
Il Comune, oculatamente, ha inserito nel Regolamento Comunale per le attività di Street Art i citati pareri solo come eventualità e non come obblighi All’art. 4 c. 2 si dice che L’Amministrazione Comunale, anche attraverso bandi pubblici, individua i progetti da realizzare.art
All’Art. 8 c. 2 viene stabilito che La commissione può avvalersi inoltre, per la valutazione artistica dei progetti, della collaborazione di esperti esterni.
Nulla di più. Eliminare pareri di esperti o bandi o entrambi, equivale a considerare il progetto artistico alla stregua di un intervento di manutenzione ordinaria di una via cittadina, che richiede il muratore e non lo storico dell’arte, l’operatore culturale.
Oppure come una res propria, una vera dittatura della maggioranza, nella quale si fa il bello e cattivo tempo con riferimenti solo ed esclusivamente alla propria parte politica.
Una serie di opere divisive sono il risultato di questa azione, a dir poco discutibile, che allarga il solco di diffidenza e malumore nell’ampia schiera conservatrice del capoluogo toscano.
Possibile che non si potesse ricercare figure condivise, che esprimessero fiorentinita’.
Dante, Leonardo, o scelte coraggiose come la indomita fiorentina Oriana Fallaci.
Figure di spicco dello sport toscano: Bartali, Antognoni, Batistuta, Fiona May.
No. Gramsci. Ritratto peraltro da un pittore nemmeno così bravo.
Un’opera mediocre di Jorit, artista sopravvalutato
Jorit è un vero “artista”?
Un buon ritrattista in stile di regime totalitario.
Così lo giudica il critico d’arte Luca Nannipieri (Stylo24, 11 luglio 2020) che non è certo tenero nei suoi confronti.
“Un pittore con una discreta tecnica, ma dalle sue opere non emergono creatività, estro, e men che mai originalità e genialità. Si riduce a riproporre immagini, è un ritrattista, tra l’altro prevedibile, da regime totalitario”.
Firenze, al contrario, lo accoglie con il fiuto che da sempre la contraddistingue per gli artisti di talento, da Michelangelo a Jorit, appunto.
In stile di regime totalitario, però, e questo è un aspetto che lo rende quanto mai gradito alla giunta Nardelliana.
Anche se di schierarsi politicamente, lui, Jorit, pare non avere alcuna intenzione.
Dopo Mandela egli a Firenze ritrae Gramsci, personaggi lontani nel tempo e nelle concezioni e ideali morali e politici, ma con il viso segnato dalle stesse due linee rosse parallele: la tribù di Jorit.
Una tribù che accoglie tutti, senza distinzione, da J-Ax a Pasolini, sulla base, si badi bene, di un calcolo di opportunità.
Come dichiara lo stesso Jorit: “Per me conta la mia opera, non chi la finanzia […] Non mi posso mettere né da una parte politica né dall’altra. E non mi interessa neanche. Si sa come vanno queste cose: se ti metti da una parte, magari dall’altra ti schifano e non ti fanno fare più niente”. (La Repubblica, 23 dicembre 2018).
Il messaggio “Odio gli indifferenti” nemmeno calzante
Questo il Leitmotiv dell’opera, Odio gli indifferenti.
Odio gli indifferenti è un libro di Antonio Gramsci.
Questa frase fa parte del testo che Jorit ha scritto prima di realizzare il ritratto, per avere, com’è sua abitudine, una griglia di riferimento che faciliti il passaggio dal bozzetto a una superficie più ampia.
Le parole di Gramsci, più potenti di qualsiasi ritratto, però stridono, appaiono stravolte ed in contrasto con quanto, superficialmente, affermano gli amministratori committenti.
“Illusionisti quegli strateghi di salotto e di redazione, i quali si dicono soldati perché hanno sempre vissuto lontano dal fronte”
“Ma se sul palcoscenico si affollano gli illusionisti, in platea gli illusi diminuiscono”. (Pagina 26 dell’edizione ChiareLettere del libro di Gramsci, si trova un passo che Antonio ha inserito in Tutto va bene [Illusionisti e illusi])
Frasi quanto mai lontane della prassi retorica dei luoghi comuni degli amministratori fiorentini.
Gramsci stesso stigmatizzerebbe l’uso strumentale delle facce sua e di Mandela, chiederebbe di non strumentalizzare le parole ma di concretizzarle, di portare avanti politiche sociali incisive, di fare scelte coraggiose, di ‘prendere parte’.
Di discutere, di litigare magari, ma non ridursi come fautori di un apparato di regime, che confino’ lui e Mandela in un carcere per anni, dal quale egli uscì solo per morire in ospedale.
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