Antifascismo, memoria e verità: oltre la narrazione manichea del 25 Aprile
Il discorso di Giorgia Meloni e la reazione di Fausto Bertinotti
Fausto Bertinotti, ex leader di Rifondazione Comunista ed ex Presidente della Camera, ha tessuto le lodi al discorso di Giorgia Meloni per il 25 Aprile.
In quell’occasione, il premier ha ribadito l’importanza storica e simbolica della Liberazione dal nazifascismo, richiamandosi ai valori di libertà e democrazia negati dal fascismo.
Una presa di distanza importante da parte di Meloni, che però non viene considerata sufficiente né da Bertinotti né, più in generale, dalla sinistra italiana, che ancora oggi, dopo 80 anni, si ritiene unica depositaria della storia democratica di questo Paese.
Il mito resistenziale e la narrazione della sinistra
Le riflessioni di Bertinotti spingono ad interrogarsi più a fondo su cosa sia oggi l’antifascismo.
Ancora resiste nella sinistra italiana il mito della Resistenza come momento fondativo della Repubblica, un mito identitario che, tramandato per decenni, ha spesso travalicato i confini della realtà, trasformandosi in epopea epica.
Eppure, già da tempo, anche autori provenienti dalla sinistra hanno avviato un processo di revisione (non revisionismo) della narrazione resistenziale, alla ricerca di una verità storica più complessa.
Resistenza: una realtà complessa
Innanzi a un regime dittatoriale che conculcò le libertà individuali e trasformò lo Stato in una proiezione personale di Mussolini, vi fu chi si oppose durante il ventennio e chi lo combatté dopo la sua destituzione.
Scoppiò una guerra civile che vide da una parte il CLN, dall’altra i repubblichini della RSI.
Furono commesse atrocità da ambo le parti, anche se la storiografia tradizionale per decenni ignorò quelle perpetrate dai partigiani.
La “mistica resistenziale” impose una divisione netta tra buoni e cattivi, ma questa lettura semplificata non regge più alla luce della ricerca storica.
Gli squarci nel velo del mito
Giampaolo Pansa, con Il sangue dei vinti, ha iniziato a raccontare verità scomode sulla Resistenza.
Luciano Violante, da Presidente della Camera, invitò a riconoscere la buona fede di chi combatté per Salò.
Più recentemente, Massimo Cacciari ha denunciato l’ipocrisia di una sinistra che si è appropriata della Resistenza senza averne realmente titolo.
Una Resistenza frammentata
La Resistenza non fu un movimento unitario.
Fu un mosaico di anime diverse: monarchici, popolari cattolici, liberali, repubblicani, socialisti e comunisti.
Tutti accomunati dall’antifascismo, ma divisi sul futuro dell’Italia.
C’era chi sognava una democrazia liberale e chi aspirava a uno Stato comunista modellato sull’Unione Sovietica.
Politicamente vinsero i democristiani; culturalmente prevalse la sinistra, che impose un’egemonia gramsciana destinata a durare a lungo.
La narrazione manichea
A partire dal mito della Resistenza si costruì una narrativa manichea che rinuncia a ogni complessità: o si sta coi “buoni” del 25 Aprile o si viene associati a chi tifava per Hitler, come recentemente dichiarato in modo grottesco dal sindaco di Livorno.
Questa narrazione si è trasformata in un frame ideologico difficile da scalfire, che ancora oggi pretende di avere il monopolio sulla verità storica.
L’uso politico dell’antifascismo
In questo contesto, la sinistra si arroga il diritto di conferire “patenti di democraticità”, soprattutto nei confronti di una destra accusata di non essere antifascista.
Ma il fascismo storico non è più il vero tema.
Oggi, il termine “fascista” designa chiunque si opponga al mainstream progressista.
L’antifascismo è diventato Ur-Fascismo: una categoria ontologica che prescinde dal contesto storico.
Quando si chiede alla destra di dichiararsi antifascista, si pretende in realtà che essa aderisca ai codici culturali della sinistra.
Una trappola ideologica
L’alternativa proposta è semplice e brutale: se accetti la visione progressista, sei antifascista; se la critichi, sei fascista.
Così ogni ragionamento critico viene escluso e marchiato.
Chiedere alla destra di dichiararsi antifascista non è un atto di memoria storica, ma una trappola linguistica e ideologica.
In questa dinamica, la verità storica diventa irrilevante.
Il cortocircuito delle celebrazioni
Questo cortocircuito ideologico si manifesta clamorosamente nelle celebrazioni del 25 Aprile, dove partecipano anche coloro che furono alleati di Hitler (come le divisioni arabe delle SS) e si contesta la presenza di ebrei che furono vittime del nazifascismo.
Una paradossale distorsione della memoria storica
Riappropriarsi della Storia, non della Resistenza
Sbaglia Bertinotti a sostenere che la destra debba appropriarsi della Resistenza.
La destra deve piuttosto riappropriarsi della Storia e della verità.
Deve uscire dal ghetto mentale e culturale dove è stata confinata, per costruire una pacificazione nazionale che faccia finalmente uscire il Paese dal Novecento
Solo così sarà possibile dirsi autenticamente antifascisti.
Altrimenti, si sarà solo “diversamente comunisti”.
E questo non lo possiamo permettere.
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