Un gene rende il 20% delle persone più resistenti al freddo, ecco come

gene

Il 20% degli esseri umani ha un gene che rende più resistenti al freddo. A indicarlo sono i risultati di un nuovo studio condotto da un team di ricercatori del Karolinska Institute di Stoccolma. Gli scienziati sono riusciti a identificare una variante genetica che influisce sulle funzioni muscolo-scheletriche. Sembra che proprio questa avrebbe protetto gli esseri umani dalle basse temperature durante la migrazione dall’Africa all’Europa oltre 50mila anni fa.

E’ la variante del gene ACTN3; in grado di provocare la perdita della proteina muscolo-scheletrica α-actinin-3.

Si tratta di una proteina presente soltanto nelle fibre muscolari a contrazione veloce. Cioè quelle che “accelerano” l’affaticamento. La stessa proteina, invece, è assente nelle fibre muscolari a contrazione lenta. Quelle che rendono più resistenti allo sforzo.

I risultati dello studio – pubblicati sulle pagine della rivista specializzata American Journal of Human Genetics – suggeriscono che la proteina α-aktinin-3 è assente in quasi una persona su cinque a causa di una mutazione genetica. Il 20% della popolazione mondiale.

Lo studio

“Le persone prive di questa proteina trattengono meglio il calore, hanno più energia e resistono meglio ai climi più duri. Finora però non c’era una prova diretta sperimentale di questo”, ha spiegato Hakan Westerblad, coordinatore del team di ricerca.

Per giungere a questa conclusione, i ricercatori hanno misurato l’attività elettrica muscolare di 42 uomini di età compresa tra i 18 e i 40 anni, a cui è stato chiesto di restare seduti nell’acqua fredda a 14 gradi, finché la loro temperatura corporea non raggiungeva i 35,5°.

Al termine del test, i partecipanti sono stati sottoposti a una biopsia muscolare per studiare la composizione delle loro fibre. Comparando i risultati delle analisi, è emerso che i muscoli dei partecipanti privi della proteina erano in grado di mantenere la loro temperatura corporea con un consumo di energia più efficiente. In particolare, il team di ricerca ha notato che in questi soggetti venivano attivate più fibre a concentrazione lenta, in grado di produrre calore, aumentando il tono muscolare, rispetto a quelle a contrazione rapida, correlate alla comparsa di brividi.

“Questa mutazione ha offerto un vantaggio evolutivo durante la migrazione verso i climi freddi – conclude – Nella società di oggi, con case riscaldate e accesso illimitato al cibo, invece potrebbe aumentare il rischio di malattie come diabete e obesità”, ha concluso il coordinatore della ricerca.

 

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