UN LIBRO DA LEGGERE
Il libro di Jean Sevillà intitolato “Habit neufs du terrorism itellectuel” è destinato fare scalpore in Francia e si auspica anche altrove, soprattutto in un Occidente culturalmente fiaccato da anni e anni di cultura progressista.
Il testo ha il pregio di dare forma organica a qualcosa che ormai inizia – finalmente – a circolare fra alcuni intellettuali, poilitici e agenzie del pensiero: cioè, la linea di perfetta continuità tra il comunismo e il progressismo woke, di cui le società occidentali sono ormai imbevute da qualche decennio
Perciò, sicuramente un libro da leggere per chi voglia effettivamente aprire gli occhi non solo sul percorso ma anche sulle responsabilità e sui pericoli insiti nell’asssecondare una tale deriva.
È un testo che offre uno spaccato interessante del mondo culturale francese e della sua evoluzione. Un punto di partenza che – mutatis mutandis – può essere esteso a tutti i paesi occidentali seppur con le loro specificità.
L’autore si sofferma nell’individuazione dei punti di comunanza fra comunismo e wokismo che si snodano palesi non tanto in punto di merito (anche, per la verità!), ma soprattutto di metodo. Cambiano le idee ma gli strumenti rimangono i medesimi: delefgittimazione personale degli avversari con loro esclusione dallo spazio pubblico di confronto e strumentalizzazione del passato in chiave ideologica.
Dal primo punto di vista, l’Autore inizia la propria analisi partendo dall’immediato dopoguerra francese, quando la Francia era ancora scottata dall’esperienza della Repubblica di Vichy. In quel contesto, il solo essere di destra veniva accomunato all’essere collaborazionista con il nazismo, e, in quanto tale, si veniva esclusi da ogni forma di dibattito democratico.
La storia veniva ad essere riscritta in funzione della convenienza del momento, e chi non era di sinistra, era automaticamente amico del Maresciallo De Petain
Non importa se la destra liberale francese era stata saldamente alleata degli USA e opposta al fascismo, il solo fatto di contestare il comunismo, la parificava in tutto e per tutto al nemico. Invero, ogni opposizione e persino ogni critica al comunismo veniva relegata a collateralismo col fascimo e nazismo, e ogni relativo contributo intellettuale inesorabilmente censurato.
Un isolamento delle idee che fece precipitare la destra, rovinosamente e velocemente, nel recinto isolato della competenza tecnica
Un lido politicamente neutro da cui si poteva operare su un piano certo più limitato ma al sicuro da strumentalizzazioni ideologiche e caccia alle streghe. Il prezzo da paagre era l’abbandono del campo e la rinuncia ad essere protagonista della costruzione di una società diversa e, chissà, persino migliore.
La sinistra, dunque, vinceva per abbandono dell’avversario e diventava monopolista della cultura nonché vera e propria autorità morale.
Ogni narrazione dei fatti che ne disattendesse le premesse marxiane era inaccettabile. Tutto ciò fu palese nelle scuole e nelle università
Una morale che si rifacesse alla Tradizione, era tacciata di oscurantismo (vi ricorda qualcosa?); la storia venne riscritta sulla base del materialismo dialettico: la Rivoluzione Francese era espressione della lotta di classe, il Terrore considerato come autodifesa contro eventuali agggressioni straniere, l’Ottocento industriale visto e interpretato come dinamica del conflitto servo-padrone di hegeliana memoria tradotto in guerra tra i borghesi e i proletari.
Una guerra violenta che, come da manuale, sarebbe stata levatrice rivoluzionaria di una nuova storia. Quella appunto che avrebbe condotto a nuove sorti magnifiche e progressive
E quando, nella seconda metà del Novecento, via via, iniziavano timidamente a emrgere le brutalità dello stalinismo, quando tacere le brutture del comunismo iniziò a divenire impossibile, l’intelighentia francese mutò il punto di vista ma in chiave meramente soggettiva.
Era consentito criticare Stalin ma non il comunismo. Stalin – che nel frattempo era morto – poteva essere abbandonato e sostituito da figure nuove e diverse, romanticamente tratteggiate ma sempre nel quadro ideologico del comunismo marxista come strumento di affermazione delle rivendicazioni rivoluzionarie dei poveri
Dal punto di vista storicp-intellettuale tornò in auge il trozckysmo con la sua carica internazionalista e terzomondista e il terreno di gioco si spostò sulla scena mondiale .
La lotta dell’oppresso era divenuta la lotta del popolo oppresso e il capitalismo borghese aveva ormai assunto le vesti scomode dell’imperialismo colonialista.
Da qui il mito di Che Guevara, di Mao Tse Tung come supremi garanti del popolo e fautori di diritti che travalicavano il tempo e lo spazio e si sovrapponevano ai diritti umani. Il diritto umano diventa il diritto dello sfruttato (o presunto tale) dal sistema. Del tutto indifferenti al fatto che il regime cubano e quello cinese erano l’antitesi dei diritti umani, si iniziò a narrare una mitica età degli eroi in cui solo alcuni potevano assurgere al ruolo di vendicatori sociali dei diritti degli individui
Naturalmente si tratta di una appropriazione bella e buona di un tema non proprio della sinistra progressista. Un furto, in altre parole, una perversione intellettuale abusante. Se la tutela dei diritti della persona, a partire da quello di libertà, era stato sempre appannaggio del mondo liberale classico, i progressisti si appropriarono di questo tema, facendone un feticcio religioso declinato secondo comodo e necessità.
Il diritto umano cessava di essere diritto individuale soggettivo fondato sul primato dell’individuo su ogni categoria collettiva e si faceva diritto sociale di una minoranza, appunto presuntivamente sfruttata, in una narrativa manichea di buoni (la sinistra) e cattivi (la destra).
Da qui la rivendicazione dei diritti delle donne (non la donna, ma le donne) contro il patriarcato (vi ricorda qualcosa?), si faceva fatto collettivo, plurale, e politico. Più avanti, quella sui diritti – reali o presunti – degli omosessuali (anche in questo caso intesi come una categoria metafisica, ma non come “quell’omosessuale in carne e ossa”) che costituiva la porta d’accesso per l’individuazione di sempre nuove categorie discriminate e da proteggere, tipo WWF
E, per venire a un passato assai recente, tali lotte di emancipazione miravano all’egemonia culturale attraverso la modifica del linguaggio, scelte sempre più grottesche ma assecondate dal mondo politico, universitario, intellettuale.
Così facendo, la dittatura del proletariato e divenuta dittatura dellla minoranza sempre più rumorosa e in grado di coprire la esigua consistenza numerica con la rumorosità delle pretese
Ecco il woke nasce da qui, dalla strumentalizzazione delle istanze di eguaglianza verso una nuova ideologia impositiva contro chi la pensa diversamente. Il pensiero unico trionfa e chi non si adegua viene tacciato come “-fobico”.
Lo stesso concetto di fobia travalica i confini della psichiatria per divenire oggetto di discrimini sociologici e quindi giuridici e politici. Le minoranze portatrici di valori diversi e talvolta antitetici alle maggioranza – secondo questa impostazione ideologica – divengono discriminate per principio, non perchè latori di istanze che riguardano pochi, ma per il solo fatto di essere minoranze
La descirzione (consistenza numerica) si fonde con la prescrizione (bisogna lottare contro l’emarginazione) e si invoca lo Stato come supremo riparatore delle ingiustizie derivanti dalla natura (negata) e dai numeri (presuntamente ininfluenti).
La società deve disarticolarsi, decostruirsi a favore della nuova weltanschaung che non lascia spazio alle categorie tradizionali.
Attraverso l’applicazione pedisseqa del materialsmo dialettico le nuove categorie soppiantono le vecchie, senza alcuna previa verifica di funzionalità e completamente sganciate da ogni prinicpio di realtà. Questo dunque il nuovo orizzonte rivoluzionario che dalla baionetta passa alla parola, e dalla presa ddel palazzo di Inverno si fa manipolazione del pensiero
Chi dissende, è spedito nei gulag culturali delle etichette infamanti e diffamantil. Si diventa facilmente, razzisti, omofobi, transfobici ecc. Ecc.
Il totalitarismo che con il comunismo staliano era diventuo espressione politica di una ideologia massificante, adesso diviene culturale mantenendone tuttavia gli stessi strumenti di azione e probabilmente le medesime finalità: strumentalizzazione della storia in chiave ideologica e delegittimazione personale dell’avversario poitico, ridotto a macchietta indegno di partecipare ale confronto delle idee.
Su questi temi, finalmente trattati in modo organico e intellettualmente onesto, il libro di Sevillà offre spunti molto interessanti e se ne consiglia vivamente la lettura.
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