Ripensare le basi della Unione Europea all’indomani della crisi del Covid-19. Nei libri di Storia che raccontereanno questi mesi, rimarrà indelebile l’immobilismo del Consiglio Europeo. Se non fosse un organo espressione dei Paesi membri, parleremo liberamente di isolazionismo. Tuttavia, il termine si applica a pennello alle stanze del potere brusselliano, che parrebbero ben più decise a salvaguardare gli interessi di pochi, a scapito di tanti.
Il sogno Europeo – Spinelliano – é stato sequestrato, negli anni, da un lobbismo inter-statale che ha creato nella UE un Agorà ove poter far congiungere interlocutori che poco hanno a che vedere con il perseguimento di una strategia collettiva per la prosperità Europea. Un ‘ring‘ in cui alcuni schierano i ‘migliori‘, mentre altri i ‘trombati‘. Il non aver regolarizzato le lobby, ha portato il settore privato ad identificare nella UE il luogo istituzionale dove poter far valere i propri interessi.
Per i politici italiani, il Parlamento Europeo é stato spesso il ‘canto del cigno‘, specie per i protagonisti di prima fascia, o un modesto ‘cavalierato‘ per qualche incauto ex-campione di preferenze trombato alle elezioni, o semplicemente l’anticamera di una tranquilla pensione all’interno di una qualisasi fondazione collegata al partito, o di una nomina da ‘editore’ di una qualche testata a zero lettori che esiste grazie al contributo pubblico.
Se ciò non bastasse, la natura puramente consultiva del Parlamento Europeo la rende ancor più inutile e grottesca. Un gigatesco carrozzone che si sposta ogni sei mesi (per far piacere ai Francesci, ovviamente) ed esiste solo per legittimare una serie di sovrastrutture esecutive. Esse non hanno alcun collegamento democratico con il popolo elettorale.
Non sono eletti, ma prendono decisioni che si ripercuotono sugli Stati membri. Era questo il disegno dei padri fondatori? certo che no.
L’idea doveva essere una sovrastruttura che continuasse a promuovere l’interdipendenza fra popoli onde rendere impossibile una nuova guerra fra economie ormai interconnesse.
Il passo successivo ha sostanzialmente tagliato le gambe al progetto degli stati uniti d’Europa; ovvero imporre, dall’alto un progetto di integrazione Europea basata sulla moneta unica. Economia al posto della politca, numeri al posto di realtà operativa, un economia disegnata a tavolino che sostituisse migliaia di anni di sovranità, e che in Europa non era mai stata così sovvertita dai tempi del trattato di Westphalia del 1648.
L’ultimo follia inter-governativa, ovvero un prodotto collaterale ai problemi suddetti, é stata la proliferazione incontrollata di una burocrazia pubblica europea, senza capo ne coda, e senza alcuna rendicontazione elettorale. In assenza di un controllore, questa macchina organizzativa é sostanzialmente sfuggita di mano.
La reazione elettorale é stato l’affermarsi di movimenti anti-partitici, o populisti. Non é il tema del presente articolo analizzare tale fenomenologia, tuttavia, se l’Eurpoa vorrà tentare di recuperare un minimo di credibilità dovrà, in breve tempo, ripensare se stessa ed il suo ruolo nel rilanciare le economie del vecchio continente.
Anche i partiti europeisti dovranno rimbboccarsi le maniche se non vorranno sacrificarsi
sull’altare di un progetto nobile, ma i cui protagonisti credono ancora di poter proliferare in barba ai minimi presupposti democratici.
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