Sono scattate le manette per tutti gli agenti di polizia coinvolti nell’omicidio di George Floyd, l’afroamericano di Minneapolis deceduto durante un fermo di polizia. Per Thomas Lane e Tou Thao si sono aperti i cancelli del penitenziario della contea di Hennepin intorno alle ore 17 locali. J. Alexander Kueng si era già costituito nel pomeriggio di ieri mentre Dereck Chauvin, l’agente che teneva il ginocchio sul collo di Floyd, si trova agli arresti già da una settimana con l’accusa di omicidio, destinata a essere aggiornata da «colposo» a «volontario». Per gli altri tre si parla invece di complicità in omicidio di secondo grado, ossia omicidio volontario non premeditato, come riportato dai media statunitensi. Il giudice ha fissato per tutti e quattro la cauzione di un milione di dollari.
L’autopsia
Dall’esame autoptico è emerso che George Floyd aveva contratto il coronavirus ma era asintomatico. L’autopsia aveva già confermato la morte per asfissia del 46enne. Il medico legale Andrew Baker ha spiegato che questo tipo di test può rilevare la positività anche «settimane dopo l’insorgere della malattia e la sua risoluzione». Il risultato del tampone, ha concluso, «riflette una positività asintomatica ma persistente».
Dietrofront sull’uso dell’esercito
Nel frattempo il presidente Donald Trump, durante un’intervista su Newsmax, condotta dal suo ex portavoce Sean Spicer, è tornato sui suoi passi riguardo la decisione di ricorrere all’Insurrection Act ed inviare l’esercito per sedare le rivolte. «Dipende. Forse non servirà. Anche se abbiamo il forte potere di farlo. La Guardia nazionale è una consuetudine e abbiamo una Guardia nazionale molto forte», ha dichiarato il tycoon.
Le critiche
Dure critiche dal capo del Pentagono Mark Esper, che ha dichiarato di non condividere l’eventuale linea dura del presidente Usa: la legge del 1807 che consente al presidente di usare l’esercito dovrebbe secondo lui essere usata «solo nelle situazioni più urgenti e drammatiche e non siamo in una di quelle situazioni ora».
Contro Trump è intervenuto duramente anche il suo ex segretario alla Difesa James Mattis, in una rara presa di posizione pubblica: «Donald Trump è il primo presidente nella mia vita che non tenta di unire il popolo americano, neppure finge di tentare. Invece tenta di dividerci», ha attaccato l’ex capo del Pentagono in una nota a The Atlantic. «Siamo testimoni delle conseguenze di tre anni di questo sforzo deliberato, di tre anni senza una leadership matura. Possiamo unirci senza di lui, attingendo alla forza interna alla nostra società civile», ha proseguito. «Quando entrai nell’esercito, circa 50 anni fa, feci un giuramento per sostenere e difendere la Costituzione.
Non avrei mai sognato che ai soldati che fanno lo stesso giuramento sarebbe stato ordinato in qualsiasi circostanza di violare i diritti costituzionali dei loro cittadini. Ancor meno per una bizzarra foto del commander in chief con a fianco la leadership militare», ha concluso Mattis, facendo riferimento al suo successore Mark Esper. All’attacco di Mattis Trump ha reagito twittando «Probabilmente l’unica cosa che io e Barack Obama abbiamo in comune è che entrambi abbiamo avuto l’onore di licenziare Jim Mattis, il generale più sovrastimato del mondo. Chiesi la sua lettera di dimissioni e mi sentii benissimo. Il suo soprannome era ‘caos’, cosa che non mi piaceva, e l’ho cambiato in cane pazzo».
Cristina Gauri per www.ilprimatonazionale.it
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