Vannacci, il talento sprecato nel riflesso di Salvini
Il generale Roberto Vannacci è un uomo dalle indubbie qualità: intelligente, dinamico, capace di comunicare in modo diretto e di intercettare un malessere profondo in una parte significativa dell’elettorato italiano. La sua figura ha acceso un entusiasmo autentico, specie tra coloro che si sentono orfani di una rappresentanza chiara e netta nel centro-destra. Ma proprio per questo, Vannacci rischia oggi di bruciare il suo capitale politico.
Il suo avvicinamento a Matteo Salvini si è rivelato un’arma a doppio taglio. Se da un lato gli ha garantito visibilità e una piattaforma già strutturata, dall’altro lo ha inchiodato a una segreteria in evidente affanno, priva di visione strategica e segnata da clamorosi errori politici. Salvini è infatti riuscito, nel giro di pochi anni, a disfare ciò che con fatica aveva costruito: ha fatto cadere un governo dove la Lega dettava l’agenda, ha riconsegnato il Paese alla sinistra senza una vera battaglia politica, e ha persino permesso – nella sua miopia – la rielezione di Sergio Mattarella, un presidente che mai ha mostrato una reale apertura o empatia verso le posizioni del centro-destra.
In questo contesto, Vannacci avrebbe potuto – e forse dovuto – percorrere un’altra strada: quella della piena autonomia, del coraggio fondativo di un proprio movimento, capace di attrarre i delusi della politica tradizionale. Il suo profilo glielo avrebbe permesso. Invece ha scelto di restare nell’orbita di un leader ormai logorato, rischiando di diventare compartecipe di un fallimento annunciato.
Il generale è ancora in tempo per correggere la rotta. Ma il tempo stringe. E la politica, si sa, raramente offre seconde occasioni a chi spreca la prima.
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