Vannacci: uno che non le manda a dire
Qualunque cosa si pensi del Generale Vannacci, di certo, il neo eurodeputato della Lega è uno che non le manda a dire dietro
Dopo le prese di posizione che hanno fatto discutere in merito a immigrazione, omosessualità e classi separate a scuola, il Generale interviene sul Pride che in questi giorni ha animato alcune città d’Italia. E lo fa da par suo, senza peli sulla lingua.
“Un inutile esibizionismo” così Vannacci bolla le manifestazioni a favore dei diritti degli omosessuali. Perchè – dice il Generale – non esistono diritti riservati per questa o quella categoria di persone. I diritti sono per tutti, in quanto individui.
L’Eurogenerale, con il suo consueto modo di fare tranchant, invero si inserisce in un dibattito storico sulla natura dei diritti e sulle modalità di tutela che un ordinamento deve approntare affinché detta tutela sia effettiva e non meramente teorica.
Da un lato, abbiamo una concezione collettivistica dei diritti, se da un lato si può inquadrare all’interno dele c.d. azioni positive a tutela delle minoranze svantaggiate, se espansa oltre un certo limite, può divenire pericolosa persino per gli individui, o andare a ledere la maggioranza (spesso silenziosa e poco ostentante).
Una visione di tal genere, agganciando le tutele a una particolare condizione plurale e non individuale,come nella classica teoria del liberalismo giuridico, rischia di emarginare chi si trova in condizione di maggioranza numerica ma di sopravvenuto svantaggio giuridico.
Si pensi per esempio a norme che imponessero maggiori vantaggi a una categoria minoritaria ma che di fatto genererebbero una predilezione di quest’ultima a scapito della maggioranza che non possiede i requisiti di “deficit” richiesti.
Un diritto astrattamente uguale per tutti, si risolve in un privilegio
Essere “normali” (per usare un termine caro a Vannacci) si rivela controproducente.
Dall’altro, una concezione liberale del diritto naturale, vuole, che alcuni diritti, preesistano allo Stato che può solo riconoscerli ma non crearli. Non esiste un diritto per qualcuno che non sia l’essere umano in quanto tale.
Questa sembra essere la prospettiva di Vannacci (non si sa quanto consapevolmente) che parla di diritti uguali per tutti senza distinzione.
Una prospettiva questa che vede lo Stato esclusivamente impegnato nel dare articolazione concreta a qualcosa che già esiste in astratto. Si parla cioè, del “quommodo” ma non dell'”an”.
Di contro, l’introduzione di diritti più specifici in senso c.d. Sostanziale, ben si attaglia, invece, a una concezione giuspositivista secondo la quale il diritto è il prodotto dello Stato inteso come sintesi degli interessi individuali.
Muta la società, mutano gli interessi e di conseguenza mutano anche i diritti
E questa è la prospettiva da cui si muovono invece i propugnatori del dirittismo delle minoranze che rivendicano un riconoscimento giuridico delle proprie individualità.
Insomma, la questione non è affatto banale e ben si comprende che cruciale diventa capire che cosa è diritto e cosa non lo è.
La prima domanda che, nel caso specifico, dovremmo porci è se realmente le manifestazioni del Pride alludano a una tutela da riconoscere o no.
Occorre interrogarsi cioè se tali rivendicazioni siano effettivamente dei diritti che qualcuno vuole comprimere, ovvero, al contrario, siano capricci collettivi che traggono forza prevalentemente se non esclusivamente dalla caricatura che se ne offre mediante simili manifestazioni opportunamente strumentalizzate da una certa sinistra ideologica che in crisi di identità, si sta rifugiando sempre di più in questa sorta di nuova società orwelliana degli uguali.
Sul punto, una notazione assume carattere decisivo.
E’ un fatto che non tutta la comunità omosessuale si riconosce in simili eccessi, ma che, al contrario, vive il proprio orientamento sessuale nella più consona sfera individuale, senza gridare e senza mostrarsi. Se ciò è vero, dovremmo dedurre che le ostentazioni del Pride non richiamano a una situazione di reale disagio a fronte del quale lo Stato dovrebbe intervenire per porre rimedio, ma sarebbero esclusivamente il frutto di una marcata ostentazione fine a se stessa.
Altro dato di fatto da considerare è che in Italia non esiste al momento nessuna compressione della sfera giuridica di chicchessia
Non siamo di fronte a un regime totalitario – checché ne dica la sinistra ideologica – nè è in atto alcuna limitazione delle libertà individuali.
Perciò, cui prodest manifestazioni così scintillanti? E su questo la fantasia (ma poi mica tanto) si può sbizzarrire.
Invero, non può non notarsi che, da anni ormai, sotto il pretesto dell’allargamento della sfera dei diritti (da quelli per le c.d. Minoranze, a quelli ambientali ecc) si stia portando un attacco continuo a ciò che è il portato della tradizione con le sue strutture tipiche, a partire dalla famiglia per investire più in generale il concetto stesso di comunità nazionale.
Un attacco concentrico condotto attraverso la declinazione ideologica di battaglie in sé astrattamente sensate ma ridotte a bandierine da brandire come una clava nei confronti di chiunque la pensi diversamente.
In altre parole, su certi temi cosiddetti sensibili, non esiste più un confronto dialettico in cui posizioni diverse reciprocamente si legittimano e cercano (magari senza trovarla) una sintesi; no, al contrario siamo innanzi una perenne scomunica delle posizioni avversarie di volta in volta declinate con epiteti più o meno corretti per stigmatizzare il dissenso.
Ecco che dunque alle dichiarazioni di Vannacci circa la presunta “anormalità” degli omosessuali (e altre simili “amenità”), si oppone l’etichetta di “fascista, omofobo, oscurantista” a chiunque non condivida il dirittismo cui sembra molto affezionato il moderno progressismo di matrice americana e ben importato pure da noi.
Che vi sia un certo abuso concettuale e persino estetico nel rivendicare certe battaglie, è in sè evidente e su questo diventa molto difficile dar torto a Vannacci; ma, di contro, le parole che il Generale usa, ben si prestano ad accuse di estremismo ideologico uguale e contrario a quello contro cui si batte.
Ad esempio, la scelta di invocare la Decima (X) Mas alludendo alla croce da apporre sulla scheda elettorale è sicuramente erronea poiché pregna di implicazioni che non possono essere trascurate
Dopodichè il Generale ha ben donde a richiamare la storia complessa del battaglione in questione, così come ha ben donde a ricordare la valenza semantica della parola “camerata”. Ma di certo non può ignorare il portato simbolico che tali allocuzioni immediatamente suscitano.
Non si può pensare, infatti, di trascendere la funzione simbolica delle parole, il cui uso ingenera meccanismi mnemonici carichi di significato e praticamente automatici. Il simbolo unisce un significante astratto con un significato concreto e quindi storico, politico o ideologico. Fingere di non conoscere questo è sciocco, troppo sciocco per pensare che Vannacci non lo faccia apposta.
E’, quindi lecito domandarsi il perchè. Serve forse a eccitare il proprio “pubblico”?
Se così fosse, in cosa si distanzierebbe da chi egli contesta così vigorosamente?
A volte si ha la sensazione che Vannacci usi sapientemente il modello psicosociale della finestra di Overton per buttare là un concetto immediatamente inviso al comune sentire, salvo poi con le rettifiche cercare di porre rimedio ricorrendo alle categorie del semplicismo concettuale. Insomma “ho detto A che è aberrante, ma se consideri che A si inserisce in un contesto B, C,D, esso diventa meno aberrante e progressivamente più accettabile”. Un gioco psicologico sottile a cui la sinistra abbocca con tutte le scarpe gridando allo scandalo ed enfatizzando una posizione che, se trascurata, rimarrebbe sostanzialmente lettera morta.
La materia è complessa, non v’è dubbio ma non v’è altrettanto dubbio che la radicalizzazione degli opposti non sia una buona notizia per nessuno. Le semplificazioni utilizzate da ambo le parti, si rivelano sbagliate e sovente controproducenti per la soluzione delle problematiche sottese alle rispettive posizioni.
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