Il vecchio corteggia la morte e l’infanzia, a giorni alterni. Un giorno si atteggia a trapassato, un altro ritorna bambino. Ora s’incupisce, ora gioca. Da vecchio ti turba non solo ogni vita sorgiva, ma anche ogni storia che comincia, un ménage che comincia la sua avventura. Pensare daccapo a quella trafila ti sgomenta, perché è come se conosci di un film la conclusione e la noia dei titoli di coda. Tu per esempio, non riesci a pensare al matrimonio di tua figlia Federica senza commuoverti. Eppure non è alle porte.
Che vuoi, a una certa età, a un certo punto della vita si diventa così… L’immagine di lei che entra in chiesa al tuo fianco – le darai il braccio o la mano? Belle ambedue perché intense, solenne una, tenera l’altra – ti risale negli occhi e li sommerge. Accompagnandola all’altare vedi concentrarsi in lei, nella luce dei suoi occhi, nel suo sorriso festoso e spaesato, tra lo stupore e lo spavento, tutta la sua vita, la sua nascita, la sua infanzia, le sue ferite; e voi, la vostra casa e quella dei nonni, e suo fratello.
In lei vedrai tua madre che va incontro a tuo padre, e tutta la tua famiglia, che declina nella vecchiaia di voi fratelli. In lei, in quel momento, si condenseranno gli affetti di una vita, i presenti e gli assenti, i passaggi e gli avvenimenti che avete attraversato, uniti o divisi. Te la ricorderai bambina in quell’apice di unione e separazione che sono le nozze (unione per loro, separazione da noi). La rivedrai neonata in un lettino d’ospedale o con l’acetone. E poi sulle tue ginocchia a giocare o con la testa ficcata nel divano e la gambette per aria. O quando tornava in bus dall’asilo e dormivano uno sulla spalla dell’altro.
Tutto balenerà in quegli istanti come in un nastro riavvolto in rapida sequenza e al solo pensarlo non trattieni le lacrime. Cosa sarà quel giorno, riuscirai a mascherare la commozione? Ci sarà quel giorno, ci sarai, come sarà? Non so se definirle speranze o disperazioni, alla fine si confondono. Quel presagio emotivo è il segno della tua vecchiaia. E della sua tenerezza, ad altre stagioni preclusa. Da vecchi la vita si fa più acuta anche se pare più ottusa. Arterie più dure, cuore più tenero.
Il vecchio può permettersi libertà negate a chi è giovane, a chi ha aspettative, lavora, sottostà ad alcuni rapporti, deve intrattenere e curare relazioni. Il vecchio ha poco tempo da vivere ma molte ore da spendere. Ha meno vincoli, può espandere la sfera del suo ego come della sua generosità. Il vecchio trae dall’assenza di alternative, cioè dalla disperazione, una forma speciale di liberazione. La libertà di scegliere è una gran cosa, ma ancora più grande può rivelarsi la libertà dalla scelta.
Vecchiaia è liberarsi del meccanismo automatico del vivere, ridotto a procedura. Il suo vivere ha la possibilità di raccogliere significati come fiori al passaggio. Vivere è collezionare prove, far fruttare esperienze (e non solo fare esperienze), imprimere segni, lasciare tracce, prestare ascolto al mondo e ai suoi dettagli, visibili e invisibili, grandi e piccoli, passeggeri e permanenti. Tesi a percepire il minimo fruscio dell’essere nelle foglie del giorno, tesi a far tesoro di quel che accade anche nella sfera minuscola dell’universo. Vivere con attenzione e poi rilassarsi sugli esiti, lasciarsi cullare dalle onde e dai venti dell’universo. Abbandonarsi. L’abbandono è una disperata fiducia, un rimettersi amabile alla sorte.
A un certo punto non resta che sedersi al bar, sorseggiando un caffè molto ma molto lungo, metafisico, uscire dal fluire del mondo e osservarlo da fuori, come se non fossimo più viventi o meglio vivendo tramite i frammenti delle vite altrui che si scorgono al passaggio. Gli altri si occuperanno di vivere per noi.
da Dispera bene, Marsilio 2020
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