Vele Latino-Americane

Pescatori italiani con le barche tirate in secco a Monterey, California, 1889. Le barche erano costruite a San Francisco.

La vela italiana emigrata in America

All’inizio del nuovo secolo quando il Golden Gate non esisteva ancora, guardando la baia dal lungomare di San Francisco avremmo potuto assistere al rientro in porto delle barche dei pescatori, quelle a vela che si vedono ormai solo su cartoline vintage e su vecchie foto sbiadite del Golfo di Genova e del porto di Palermo.

Sono le stesse vele latine 1 delle vedute del Golfo di Napoli dei dipinti di scuola napoletana, con i monti della penisola sorrentina sullo sfondo, l’unico dettaglio a distinguerle la bandiera a stelle e a strisce a poppa, meno evidente però del grande tricolore che sventolava sull’albero. Furono in tanti i pescatori italiani ad emigrare negli Stati Uniti nell’ottocento al punto da colonizzare la costa della California fondando villaggi ovunque.

Alle origini dell’emigrazione

Il Regio Decreto del 1861 aveva dato corso legale nelle province annesse alla Lira Nuova di Piemonte (da allora Lira Italiana). Lo svilimento del conio, la sottovalutazione delle divise delle province occupate e la sopravvalutazione di quelle delle super potenze straniere, se da una parte consentirono ai Savoia l’accaparramento di grandi quantitativi di ricchezza, dall’altra resero molte imprese sia produttive che commerciali facile preda del capitale straniero, soprattutto inglese e tedesco-austriaco.

Ciò avvenne soprattutto nel meridione dove la produzione ed il commercio non potevano più competere con la concorrenza delle imprese del Regno di Sardegna. Un ambito particolarmente colpito fu quello marittimo, dove vennero a mancare tutte le sovvenzioni nei vari settori dell’industria e del commercio derivati dalla politica adottata dai cessati governi, e dove inoltre la politica protezionistica sabauda finì per favorire la cantieristica e i commerci marittimi inglesi 2.

L’offerta di manodopera superò quindi sempre di più la domanda al punto che con la paga di un marinaio (equiparabile a quella di un operaio) prima dell’unità si potevano mantenere dignitosamente da due a quattro persone, dopo il 1861 due o anche meno. La vasta crisi che colpì le nuove provincie del Regno si estese anche ad altre regioni a vocazione marinara come la Liguria o la Sardegna e queste condizioni rendevano sempre più attraente il mercato del lavoro di paesi dove il lavoro specializzato, per offerta insufficiente (o mancanza di qualità) era anche super pagato.

Gli Italian Fishermen di Boston

Una delle prime destinazioni della gente di mare italiana fu la costa nord-orientale degli Stati Uniti, dove però una tradizione ed un industria navale vecchia di più di un secolo, e in molti casi innovativa ostacolarono la conservazione delle tecniche etnico-tradizionali italiane. L’industria e i cantieri navali in grande crescita assorbivano infatti tutta la manodopera specializzata, soprattutto maestri d’ascia e calafati. Questi ultimi, per la maggior parte di origine napoletana, operarono per un secolo in tutti gli stati costieri del Nord America.

I pescatori italiani quindi adottarono i tipi di imbarcazioni locali e tra tutte il dory 3 fu quella che poi divenne la più popolare tra gli Italian fishermen di Boston tra il 1880 ed il 1920. Si trattava di piccole imbarcazioni a due alberi con fondo piatto e profilo curvo utilizzate nella pesca costiera, con una lunghezza compresa tra i 6 e gli 8 metri. Con una sufficiente zavorra e condotte con abilità risultavano delle imbarcazioni dal costo contenuto ma sicure anche in condizioni di mare difficili.

Pescatori di spugne in Florida

L’aumento della richiesta e l’intenso sfruttamento commerciale alla fine dell’ottocento provocò la decimazione delle popolazioni naturali di spugne del Mediterraneo nei luoghi tradizionali di pesca. I pescatori specializzati nella pesca di questo porifero si spinsero sempre più lontano a cercare nuovi banchi.

Ad esempio a Lampedusa intorno al 1890, la scoperta casuale di un ricco banco di spugne su fondali dell’isola attirò non solo flotte di pescherecci siciliani ma anche napoletani e greci.

Per questo motivo tra la fine dell’800 e l’inizio del nuovo secolo, sulle coste della Florida arrivò, praticamente senza grosse variazioni rispetto agli originali europei, un tipo di imbarcazione tipicamente mediterranea e dalle origini antiche chiamata Saccoleva, tipica della Grecia ma presente anche in Sicilia e in Puglia ed usata dai pescatori di spugne soprattutto nel Mar Egeo. Fu tuttavia un fenomeno di breve durata, in quanto l’adozione di attrezzatura velica moderna e l’introduzione di una poppa quadrata per far posto al motore la resero presto simile alle imbarcazioni delle Bermuda.

La Frisco Felucca

Mentre per altri popoli le Americhe rappresentavano la land of opportunity con una forte componente ideologica, agli italiani in realtà interessavano più concretamente le possibilità di lavoro e di commercio. Lo sviluppo di navi più sicure e veloci, grazie agli scafi in ferro ed ai motori a vapore, assieme al fatto che i primi lavoratori che lasciarono l’Italia nella seconda metà dell’ottocento inviavano in patria parte del denaro guadagnato, favorì la crescita dell’emigrazione.

Non passò molto tempo quindi, prima che i pescatori italiani si stabilissero nei villaggi siti da Eureka a San Francisco, Santa Cruz, San Diego e Monterey, e da Pittsburg a Benicia e Martinez. Quest’ultimo villaggio diede i natali a Giuseppe Paolo (Joe) Di Maggio il figlio di pescatori siciliani emigrati negli USA, che divenne prima il più grande giocatore di baseball e poi, per la sua relazione con Marylin Monroe, l’uomo più famoso del continente. La California non era ancora diventata una delle principali industrie di pesca. Lo divenne intorno al 1880, quando le sue acque costiere furono dominate dai pescatori italiani e dalla loro graziosa feluca velica.

Le “Italian Felucca” a Monterey. A San Francisco affollavano i moli di Italy harbor a Fisherman´s Wharf.

Pescatori e marinai provenienti da tutte le regioni d’Italia, forti della loro tradizione marinaresca in uno stato con una cantieristica navale meno sviluppata rispetto a quella della East Coast, costruirono le imbarcazioni delle loro terre d’origine. Queste imbarcazioni dalla linea elegante, pontate, armate con albero a calcese 3 e vela latina, vennero chiamate dapprima Italian Fishing boat o Dago fishing boat, termine un po’ dispregiativo 4 che fu poi più educatamente sostituito dal nome ufficiale di “Frisco Felucca.

Uno degli aneddoti ancor oggi popolari tra i discendenti dei pescatori della Baia di San Francisco riguarda la fonte ausiliaria di propulsione usata su queste barche e l’attrezzatura necessaria al suo funzionamento: una catena con in cima un gancio di acciaio. Una volta individuato un ferry a vapore che procedeva nella direzione voluta, l’equipaggio agganciava le catene di contenimento del timone del ferry di passaggio facendosi trainare. Una pratica non gradita dagli equipaggi dei ferries, spesso anch’essi di origine italiana, che non potendo sganciare le catene del timone che erano al livello dell’acqua, prendevano di mira i pescatori con pezzi di carbone e ogni altro oggetto possibile, mentre i pescatori rispondevano al fuoco con pesci e frattaglie usando coloriti epiteti e inequivocabili gesti.

Pescatori italiani con una Feluca o Dago Boat in navigazione nella Baia di San Francisco. Alle spalle un piroscafo spesso protagonista di “battaglie” con i pescatori.

Da Pittsburg all’Alaska

Così l’ambasciatore italiano in visita nel 1909 a Pittsburg (CA) descriveva la comunità italiana: Gli abitanti (di Pittsburg) quasi esclusivamente italiani, sono pescatori, venuti i più dall’Isola delle Femmine, qualcuno da Ustica. Sono qualche migliaio, in condizioni assai prospere. Fanno ogni anno, con battelli loro, due campagne di pesca sulle coste dell’Alaska e, col ricavo, vivono largamente e depositano danari nelle banche.”

Una comunità florida dunque e non una torma di miserabili che pescavano per campare, per di più vessati dalla mafia. E non potrebbe essere altrimenti visto che già i piccoli pescherecci a vela della baia avevano un costo compreso tra i 200 e i 400 dollari dell’epoca (15-30.000 di oggi) per non parlare delle imbarcazioni più grandi che permettevano di compiere simili spedizioni di pesca nelle fredde e burrascose acque del Nord Pacifico.

La fine della saga: ritorno ad Ellis Island

La florida attività della pesca nel Pacifico ebbe una fine tragica con l’ingresso in guerra degli USA durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli italiani subirono pesanti discriminazioni e limitazioni: i pescherecci furono sequestrati, i pescatori furono tutti schedati, allontanati dai luoghi in cui vivevano ed essendo considerati enemy aliens per loro fu impossibile trovare lavoro.

Molti furono internati, bastava poco per finire in un campo di concentramento: essere nato in Italia e avere in casa un ritratto del Duce o assurdamente persino quello di Garibaldi. Mentre i loro figli o i loro nipoti, cittadini americani, andavano a morire nelle giungle delle isole del Pacifico o in Nord Africa, i genitori e i nonni, nati in Italia, finirono a Ellis Island , trasformata in campo di detenzione, che era stato il primo luogo degli States che avevano visto e in cui erano approdati.

Quello dell’emigrazione italiana è un argomento che periodicamente torna alla ribalta sui media, mano a mano però che l’Italia a partire dagli anni ’80 del secolo scorso si trasformava da paese di emigrazione in paese di immigrazione è aumentato l’interesse per il fenomeno, e soprattutto negli ultimi anni è cambiata la percezione presso il grande pubblico delle cause e delle dinamiche. La promozione di una politica favorevole all’immigrazione infatti, attraverso i media, ha portato alla diffusione di un’idea dell’emigrazione italiana come fenomeno assimilabile ai moderni flussi migratori, un völkerwanderung 5 di analfabeti affamati, categorizzati come manodopera non qualificata, e come i moderni africani in fuga di volta in volta dalla miseria, dalla guerra e infine dalla persecuzione politica 6.

È difficile pensare realisticamente che ci si possa improvvisare muratore oppure come possa essere definito manodopera non qualificata un marinaio (o pescatore), trattandosi di attività lavorative che non prevedono solo di saper agitare la cazzuola o attaccare un verme all’amo, ma richiedono una certa perizia e conoscenze che possono essere acquisite solo con molti anni di apprendistato. Per questo motivo i primi ad indignarsi per il parallelismo forzato sono gli oltre ottanta milioni di oriundi italiani sparsi per il mondo, figli o pronipoti degli antichi emigranti, più patrioti di molti loro connazionali e che soprattutto conoscono la storia della loro famiglia e del loro paese.


 

1 Tipo di vela triangolare caratteristica del mar Mediterraneo adatta all’andatura di bolina cioè che consente alla barca a vela di risalire il vento. Lo scafo costruito in California, con la classica attrezzatura velica formata da albero, antenna e spigone, prevedeva una forma della chiglia stellata e l’opera morta bassa sull’acqua. Caratteristiche che conferivano loro una forma filante e una velocità importante nelle andature di bolina.

2 In pratica il capitale inglese finì per partecipare e spesso controllare quasi tutte le compagnie di navigazione italiane per il Mediterraneo e i paesi extraeuropei, che oltretutto essendo costrette, come la neonata Marina del regno, ad acquistare nuovi legni e motori a vapore nel Regno Unito, contribuirono poco allo sviluppo dell’industria navale nazionale.

3 Albero a un solo pezzo per vele latine, detto appunto albero a calcese: su di esso è sistemata una puleggia.

4 Dago da dagger cioè pugnale, era un modo per criminalizzare gli italiani che lo utilizzavano come arma. Non dimentichiamo che stiamo parlando di un’epoca in cui gli yankee del West sono tutti pistoleri, banditi o giustizieri. Almeno nell’immaginario collettivo.

5 In tedesco: movimento di popoli inteso come migrazione umana. Anche per le invasioni barbariche, termine inesistente in questa lingua, si usa il vocabolo völkerwanderung.

6 Mentre la persecuzione politica durante il Risorgimento fu realmente un motore di spinta dell’emigrazione, comunque limitato nei numeri, durante il ventennio fascista assistiamo ad una inversione di tendenza al punto che l’aumento dei ritorni in patria porta, nel decennio 1931-40, ad un pareggio nel numero di espatriati e rimpatriati nei paesi extraeuropei, considerando anche il flusso verso le colonie italiane.

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