Venti anni – Rifiutando i consigli dei suoi Alleati europei il Presidente degli USA Biden ha ribadito la decisione di lasciare l’Afghanistan entro il 31 agosto. Prima, in ogni caso, dell’11 settembre. Giorno in cui ricorre il triste anniversario dell’attentato alle Torri gemelle di New York: ossia prima di quell’evento da cui tutto ha avuto inizio. Il che è paradossale e politicamente sbagliato.
Capisco che l’indecorosa ritirata americana è stata in qualche modo concordata con i Talebani, ma questo è troppo. Perché, così facendo, si consente un pieno trionfo politico e simbolico al terrorismo islamista che è all’origine, appunto, della tragedia dell’11 settembre. Con effetti peraltro devastanti sul piano della credibilità e delle relazioni internazionali.
La gioia cinese
Per cui -se l’11 settembre del 2001, nel cuore dell’impero uscito vittorioso dalla guerra fredda, due grattacieli colpiti dai terroristi crollarono improvvisamente davanti agli occhi di tutto il mondo- l’11 settembre del 2021 a crollare (sempre in mondovisione) sarà invece una certa idea dell’America ed il significato stesso del suo essere impero. Per la gioia dei Cinesi desiderosi di imprimere quanto prima il marchio del Dragone sul nostro secolo.
Ed immagino allora il giubilo dei Talebani che, venti anni dopo e grazie alla fuga scomposta di Biden, si trovano nuovamente a controllare un territorio che nel 2001 fungeva da base logistica per le varie fazioni e formazioni del terrorismo islamista. Chissà, forse la loro sarà una contentezza mascherata, contenuta per subdoli calcoli di opportunità politica. Oppure sarà un’esplosione di sadica allegrezza, pari a quella dei Palestinesi che l’11 settembre del 2001 festeggiarono in piazza con urla e canti la notizia dell’abbattimento delle Torri gemelle, bruciando per l’occasione le bandiere a stelle e strisce.
Ricordo quelle ore. Ricordo quel giorno e quelli successivi. E l’orrore e lo sgomento che ci colpì. Ma ricordo anche la rabbia e l’orgoglio di un Occidente ferito che allora volle e seppe reagire con forza e determinazione. Tant’è che gli USA intervennero quasi immediatamente in Afghanistan per smantellare i santuari del terrorismo. Seguiti poco tempo dopo dalla NATO, chiamata al compito di edificare uno Stato vero e finalmente democratico, capace di assicurare pace e libertà agli Afghani cooperando concretamente alla sicurezza internazionale.
Ma tutta questa storia sembra essersi persa nel nulla, mentre il valore di impegni solennemente assunti anni addietro è stato letteralmente azzerato dalla sconvolgente decisione unilaterale, presa da Biden, di abbandonare l’Afghanistan a se stesso.
Il riconoscimento dello Stato Talebano
Ben sapendo che ciò avrebbe significato consegnare il paese ai Talebani: a quei feroci cultori di un Islam primitivo e crudele. Responsabili di crimini orrendi, per combattere i quali gli USA e la NATO intervennero in Afghanistan. Sembra la rappresentazione di un teatro dell’assurdo. O, meglio, è come assistere ad un funesto ed irresponsabile giuoco dell’oca, dove alla fine il perdente -nella fattispecie l’Occidente- torna al punto di partenza. Ad essere cioè minacciato da un terrorismo sempre più forte, che ha saputo addirittura farsi Stato. E che per giunta è già riconosciuto come tale da grandi potenze interessate a ridisegnare gli equilibri geo-politici.
E così, se in letteratura il «vent’anni dopo» di Dumas ci ricorda il ritorno in campo dei valenti seppur imbolsiti Tre Moschettieri, in politica il «vent’anni dopo» di Biden ci ricorderà l’ignominia di un Occidente che ha tradito se stesso. Smarrendo il senso della propria dignità o, per dirla in altri termini, la consapevolezza della propria anima.
Non so se Biden si inginocchierà anche per le disperate donne afghane e per tutti coloro che in quella martoriata terra hanno creduto alle promesse dell’Occidente. So solo che abbiamo il diritto e il dovere di chiedere al Presidente statunitense, come ai vari “dem” in carriera e a tutti gli altri inginocchiatori di professione, quanto valgono le vite degli Afghani.
Persone che stiamo lasciando in mano ad autentici tagliagole, tanto cinici quanto perversi. Persone che stiamo condannando ad un atroce destino di servitù morale e culturale, privo dei più elementari diritti civili o politici.
Io non riesco a non indignarmi per quanto accaduto. E penso, con malinconico sollievo, che la sorte ha perlomeno risparmiato alla mia concittadina Oriana Fallaci l’umiliazione di assistere a questo gigantesco tradimento, che avrà conseguenze terribili in tutti i campi.
L’11 settembre è ormai alle porte. Ma non sarà più, come in passato, il giorno del dolore e della riscossa. Sarà semmai il giorno della vergogna e della resa.
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