VENTOTENE: UN MANIFESTO DA RILEGGERE E DISCUTERE. L’EUROPA TRA
MEMORIA STORICA E NUOVE SFIDE
“Il Manifesto di Ventotene è un documento figlio del suo tempo. Va rispettato, ma non idolatrato.”
Con queste parole, pronunciate in Parlamento, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha riacceso il dibattito su uno dei testi simbolo dell’europeismo
novecentesco. Un intervento destinato a far discutere, che mette in discussione non tanto i valori fondativi dell’Unione Europea, quanto l’idea che da quel sogno di ottant’anni fa possa ancora derivare una bussola valida per il presente.
Era il 1941. In un’Europa divorata dalla guerra, due confinati politici – Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi immaginavano, sull’isola di Ventotene, un futuro diverso: un continente unito, federale, capace di superare i nazionalismi che avevano alimentato i totalitarismi.
Il Manifesto di Ventotene è stato a lungo celebrato come il testo sacro dell’integrazione europea. Ma oggi, in un contesto radicalmente mutato, sono in molti a chiedersi se quell’utopia sia ancora all’altezza delle sfide attuali, chiedendosi se il mito della federazione
si un modello fuori scala
Nel cuore del “manifesto” c’è l’idea di un’Europa federale, sulla falsariga degli Stati Uniti d’America. Una visione nobile, ma forse troppo idealizzata. “L’Europa non è una nazione incompiuta – ha detto Giorgia Meloni – è un insieme di popoli con radici profonde, storie autonome, identità stratificate.” Una tesi che trova eco anche in ambito accademico. Molti
filosofi e politologi – da Hannah Arendt a Raymond Aron – hanno criticato l’idea di un ordine politico costruito dall’alto, secondo logiche razionali e astratte. La politica, sosteneva Arendt, nasce dalla pluralità e dal confronto tra individui, non da un’architettura tecnocratica.
In questo senso, il sogno federalista può rivelarsi una trappola: anziché unire, rischia di allontanare le istituzioni dai cittadini, trasformando l’Unione in una macchina burocratica più che in una casa comune
Un altro nodo centrale è la condanna senza appello del nazionalismo: un tempo comprensibile – visto il contesto del “manifesto”, scritto in piena guerra mondiale – ma oggi forse eccessivamente semplicistica.
Giorgia Meloni, come alcuni importanti studiosi del Novecento – da Isaiah Berlin a John Plamenatz – propone una distinzione netta tra un nazionalismo aggressivo, espansionista, e un nazionalismo difensivo, legato all’autodeterminazione e alla dignità culturale
In molte parti del mondo, il sentimento nazionale ha rappresentato una forza emancipatrice.
Riconoscere questo non significa chiudersi in sé stessi, ma riaffermare la centralità delle comunità reali nella costruzione politica. In quest’ottica, la sovranità nazionale non è l’antitesi dell’Europa, ma può essere il suo fondamento: un’alleanza tra pari, non una
gerarchia tra centri decisionali lontani e popoli silenziati.
Nel “manifesto”, l’antifascismo si lega strettamente all’internazionalismo con l’idea di superare le frontiere per evitare nuove dittature. Ma oggi, questo legame rischia di essere usato come arma ideologica. Giorgia Meloni lo ha detto più volte: “Si utilizza l’etichetta
dell’antifascismo come scudo per evitare qualsiasi critica al progetto europeista”.
La questione non è negare l’antifascismo che, insieme all’anticomunismo, resta una pietra miliare della democrazia europea, ma evitare che venga brandito come uno slogan, invece
che come un principio.
In un mondo segnato da sfide nuove – crisi energetiche, flussi
migratori, tensioni geopolitiche – servono strumenti aggiornati. Meno retorica, più concretezza, per evitare che il grande assente di questa visione sia proprio il popolo europeo.
Forse la critica più radicale al “Manifesto di Ventotene” è quella che riguarda il suo impianto democratico. Jürgen Habermas, tra i più autorevoli teorici del costituzionalismo europeo, ha avvertito: senza una reale partecipazione popolare, l’integrazione rischia di diventare una costruzione elitaria
Giorgia Meloni spinge oltre: a suo avviso, l’Europa ha spesso ignorato i referendum, i voti popolari, le istanze nazionali. Ha trasformato la sovranità in un ostacolo, non in una risorsa.
Ma l’alternativa al cosmopolitismo astratto non è la chiusura. È un’Europa che ascolta, che rispetta le differenze, che valorizza le identità. Un’Unione capace di dialogare con i suoi
cittadini, non solo con le cancellerie
Il Manifesto di Ventotene resta un testo fondamentale: un’eredità da ripensare, non da cancellare. Un documento di valore storico e morale. Ma, come ogni eredità, va contestualizzato.
Non può essere un totem. Va riletto, riformulato, discusso
L’Europa di oggi non è più quella del dopoguerra. E, forse, è proprio questo il compito del nostro tempo: trasformare quel sogno in materia viva, capace di parlare al presente.
Non per rinnegarlo, ma per onorarlo davvero. Perché ogni costruzione politica, per durare, deve accettare di essere ripensata.
Leggi anche:
www.facebook.com/adhocnewsitalia
SEGUICI SU GOOGLE NEWS: NEWS.GOOGLE.IT